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La realtà del teatro

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    esteriade
    Post: 1.010
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    00 31/05/2006 01:39
    Post di Fabio:


    Vieni Andrea, e parliamo anche di Teatro. Ho appena terminato un corso di scrittura per la scena presso i Teatri Possibili di Milano e ne sono stato folgorato! E' come se la scrittura si muovesse su un piano orizzontale,quello fantastico della parola, immenso e bellissimo...poi scopri il teatro e allora vedi che il mondo ha anche il piano del corpo e ti accorgi della fantastica possibilità creativa di incastrare i due piani in uno spazio che comincia ad avvicinarsi alla...realtà.
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    esteriade
    Post: 1.011
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    00 31/05/2006 01:40
    Post di Andrea:

    la realtà ... io mi sono sempre chiesto se il teatro dovesse
    avvicinarsi alla realtà. E' sicuro che ad esempio che illustri
    rappresentanti, partento dalla realtà sono riusciti a far
    percepire "l'irreale" dalla società a cui si volevano riferire,
    penso ad Eduardo o al teatro di denuncia di Julian Beck, ma il
    teatro che mi ha sempre affascinato è quello che riesce a
    parlare all'immaginazione dello spettatore, cioè riesca,
    partendo dalla sua illusione, a permettere all'immaginazione
    dello spettatore di creare la "sua" realtà.
    Certo non ho mai considerato come la scrittura potesse essere
    essenziale per questo processo, da spettatore ho sempre fruito
    dello "spettacolo" mettendo in primo piano le emozioni piuttosto
    che la tecnica o quello che ci potrebbe essere "dietro", è
    veramente interessante quello che dici mi piacerebbe approfondire.

    [Modificato da p@rker 31/05/2006 0.14]

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    esteriade
    Post: 1.012
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    00 31/05/2006 02:03
    Le voilà!

    e ora vi dico la mia...

    Ho sempre detto e pensato che il teatro è una scatola magica, un caleidoscopio spettacolare.

    E' un accadere polidimensionale nel quale tutto è realtà.
    Il teatro è un gioco, quello dei bambini del "facciamo come se", dove il come se vive di vita propria e diventa realtà, l'unica possibile per quel "come" e quel "se".

    Hai ragione Andrea, lo spettatore a teatro ha la possbilità di scoprire e vivere una "sua" realtà, quella dei brividi, dell'emozione, della ricezione che può sembrare che venga da una parola, o da un gesto, o da un silenzio...e che invece viene da un tutto...reale, fatto di corpi che si muovono in uno spazio, in un tempo, al buio o alla luce, in silenzio o con il suono...ma che c'è. è lì sul palco a qualche metro dallo spettatore.
    all'attore la quarta parete serve per contestualizzarsi, allo spettatore per aprire una porta ed entrare in un mondo.

    Non è essenziale la "scrittura" in quanto parola, secondo me, e hai ragione Andrea, lo spettacolo è il tutto, inteso come somma di ogni minimo dettaglio.
    Ogni cosa sul palco acquista significato e diventa significante. la comunicazione è pura, è fatta d'intesa e continua e reciproca tra spettatore e palco.

    Beh, essere consapevoli di questo, quando si ha davanti un foglio (in orizzontale) e una penna (in verticale) e personaggi che fanno e dicono e oggetti che fanno e dicono e luci e musiche e silenzi e spazi... la scrittura, la storia che si va scrivendo...diventa realtà.

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    (Ipanema)
    Post: 1.656
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    00 31/05/2006 08:23
    è interessante vedere come cambiano le prospettive a seconda del singolo e soprattutto a seconda della posizione che questo singolo ha rispetto al teatro. ma non solo.

    Io ho sempre amato il teatro, al punto che per un certo periodo, lontanissimo periodo, ho gravitato intorno ad attori, registi, ho persino uno zio attore e regista teatrale che alla fine ha messo su una compagnia teatrale che si occupa di recupero di tossicodipendenza. una mia amica, ormai dispersa nei meandri della vita, ha una compagnia teatrale con la quale cura i disagi alimentari, dalla anoressia alla bulimia.

    Insomma... teatro per me è stato da sempre un qualcosa di famigliare (con il gl di famiglia)...

    Però io l'ho sempre vissuto, e ancora lo vivo, partendo dal testo. Anche quando fruisco semplicemente da spettatore, ascolto le parole, seguo il testo più che i gesti. Infatti giudico la bontà di una recitazione soprattutto attraverso l'intonazione della voce, il suono che riesce a dare a una determinata parola, a una determinata sequenza.

    Perché se il teatro dovesse restituire solo gesti, solo emozioni (sono emozioni anche le risate) allora dovrebbero piacermi anche le commedie all'italiana, i musical (quelli che un tempo venivano chiamati varietà) quelle cose che invece io detesto cordialmente e quando, costretta, mi tocca andarvi a vederli, soffro, soffro terribilmente.

    Non a caso, dell'ultimo spettacolo teatrale, quello di Albanese, il pezzo che mi è rimasto impresso è "Il Ministro della Paura" un pezzo bellissimo, estremamente difficile e sicuramente drammatico pur nella sua comicità amara.

    Ma è il modo in cui vengono raccontate le emozioni, attraverso il mix parole-voce-gesti, sempre però partendo dal testo, che io raccolgo e null'altro. Se un testo soffre o non è buono, se l'attore in scena è sgraziato come voce (ovvio, sarà poi anche goffo nel muoversi) allora... soffro.
    _________________________________
    Ginger Rogers eseguiva tutti i passi di Fred Astaire, ma all'indietro e sui tacchi a spillo.
    Remember, Ginger Rogers did everything Fred Astaire did, but she did it backwards and on high heels
    (Faith Whittlesey)
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    newat49
    Post: 498
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    00 31/05/2006 09:03
    Un'amica mi disse:

    - La realtà è sempre più surreale della sua rappresentazione, ovvero del teatro.

    Non c'è niente di più 'reale' del teatro: è lì, di fronte agli occhi di tutti, nello stesso momento, gli attori si attengono a un copione, lo spazio è quello del palco...

    La realtà è sfuggente, poliedrica, fantasiosa, inafferrabile.
    E non esiste... non la becchi mai con le mani nel sacco. E la si ridiscute, a distanza di anni cambia, si modifica, la si reinterpreta, la si completa.

    Il teatro è lì, non scappa.
    http://fabiomusati.blogspot.com/
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    esteriade
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    00 31/05/2006 09:58
    Hai presente il dramma borghese, Ipa?
    La sua urgenza di rappresentare la "realtà" perfetta e geometrica della classe borghese?
    era teatro anche quello, l'ambito di comunicazione "necessario" a quell'epoca (eppure c'era già chi lo contestava).
    Lì tutto reggeva sulla parola, la comunicazione non era bidirezionale...il "messaggio" partiva dalla scena e doveva finire allo spettatore, senza che questo ipotizzasse un ritorno che non fosse di puro "assistere".
    è passata un po' d'acqua sotto i ponti da allora, eppure certo tipo di teatro esiste ancora.
    Qualche mese fa ho assistito al Pigmalione di G. B. Shaw, tanto testo, scenografia ricca e fiori finti...giuro erano di plastica, li ho visti da dietro le quinte.
    Ho assistito...non ho partecipato come spettatore.
    Ho imparato a non odiare quel teatro, ma ne guardo altro che lo spettacolo, non ci cerco niente dentro. se ci scappa qualche risata, tanto meglio.

    E però esiste anche l'Odin Teatret, dove la parola conta molto poco, e il teatro totale, dove la parola è solo uno dei tanti ingredienti.
    Il teatro di parola, può avere il suo valore...guarda il teatro narrativo, quello di denuncia (non sempre basato sulla parola, ma spesso sì), quello "classico" di De Filippo.
    Ma non è l'unico teatro possibile.
    Così come della realtà non esiste una sola chiave di lettura.



  • p@rker
    00 01/06/2006 09:38
    lo spettatore (da piccolo me lo dicevano sempre mai dare conto agli sconosciuti)
    Era una notte buia e tempestosa ... anzi per niente era un pomeriggio freddo si, ma luminoso e sereno, il mattino ero stato un’ora al telefono con la ragazza più bella del mondo, (sono sempre così quando non te la danno), Francesca, l’avevo conosciuta un mese prima ad una assemblea sindacale, lei scriveva fitto fitto ad ogni intervento ed io mi ero perso nei suoi occhi azzurri, per quello non avevo capito niente delle discussioni precedenti e quando tocco a me, improvvisai, andò bene ma lei a parte il mio nome non scrisse una parola, alla fine dell’assemblea mi avvicinai girai il suo blocco notes e accanto al mio nome scrissi il mio numero di cellulare.
    Mi chiamò l’indomani, da allora ci sentivamo praticamente ad ogni ora del giorno e della notte, pranzavamo insieme ma quando gli proponevo di uscire la sera aveva sempre una scusa pronta per rifiutare. Non ho mai capito niente di donne ... le mie intenzioni erano state chiare fin dall’inizio e questo suo comportamento mi aveva confuso ancora di più, ero proprio innamorato perso.
    Finalmente quel giorno aveva accettato di uscire la sera con me ... il teatro, Paolo Poli, e vai!!
    Passai a prenderla alle 19,00, lo spettacolo era alle 21,00, ovviamente non era pronta e dovetti aspettarla un’ora buona in auto ... ma ero troppo felice e il tempo volò. L’auto era abbastanza inutile
    visto che il teatro non era lontano ma io già pensavo al dopo teatro e non volevo lasciare niente al caso. Arrivammo subito e dopo una breve coda entrammo in sala, non c’era molta gente, davanti a noi tre ragazze chiacchieravano animatamente, sentivo che parlavano di un ragazzo che interessava ad una di loro, la brunetta, questa teneva il suo cellulare in mano e con una velocità spettacolare mandava sms e ne riceveva subito la risposta, aveva gli occhi lucidi e commentava con le altre ...
    Io parlavo piano avvicinandomi a lei,
    - lo spegneranno questo cellulare, spero?
    - stai tranquillo, sicuramente lo faranno.
    Sentivo il suo respiro e avevo una voglia pazza di baciarla ... il cellulare non fu spento ma messo silenzioso e ad ogni sms si illuminava, mentre lo spettacolo cominciava.
    Madre Pilar, (Poli) cominciava il suo racconto, il Ponte che crolla e cinque vite vengono stroncate sotto le macerie, ricorda la ricca signora tradita e alcolista, la sua sfortunata damigella, l’attore ormai vecchio che aveva le passione per la commedia con il suo allievo e l’orfano che si accingeva a partire con la speranza di una vita migliore, vivono la loro tormentata vita attraverso le azioni dell’eclettico Poli, maestro nei travestimenti.
    Lei era attenta, la luce del palcoscenico illuminava il suo volto era proprio splendida, ogni mio pensiero era per lei. Il cellulare della brunetta continuava a lampeggiare.
    Ma quando vengono stroncate delle vite in modo violento Dio chiama a se gli innocenti o punisce i malvagi? E’ questo l’interrogativo che Madre Pilar pone alla sua coscienza, sul palcoscenico è un continuo avvicendarsi di personaggi che attraverso il ricordo delle vittime tracciano un quadro della società, a poco a poco si delineano le loro figure.
    Quel cellulare mi distrae proprio stendo la mano per richiamare la ragazzina, lei me la prende e mi sussurra - fermo concentrati sullo spettacolo. La mia mano rimane stretta alla sua, è la sola cosa che conta, ringrazio mentalmente la ragazzina, vorrei stare attento, ma sento il mio cuore battere forte, mi suderà la mano se continuo così, allora la lascio
    Poli rappresenta tutti noi, la coscienza del mondo che con la sua ironia pungente ne mette in scena i suoi drammi e le sue paure, ma è anche la speranza, con i suoi dialoghi serrati è la vita che non si arrende.
    Anche la ragazza del cellulare è presa dalla narrazione non vedo più il suo cellulare, guarda attenta e divertita.
    Le scenografie sono calde, colorate, coinvolgenti, ti prendono per mano, ti ritrovi nell’atmosfera del Perù del 1700 con la naturalezza che è la vera spettacolarità di Poli.
    Anche lei è presa dallo spettacolo, sento il suo profumo ....
    Gli spettatori battono le mani, le luci si accendono, tutti si alzano in piedi, finito? Mi alzo anche io e dico delle frasi di lodi ... profonde ... lei risponde
    - si certo, era tanto che non vedevo uno spettacolo così bello.
    Mentre usciamo sentiamo il freddo pungente che ci riporta nella notte fredda di gennaio,
    - che bella serata. Non mi ero resa conto del freddo che c’era, non vedo l’ora di essere a casa sotto le coperte.
    Casa sua o casa mia? Facciamo due passi verso casa sua, sulla porta mi bacia sulla guancia facendo cadere ogni mia aspettativa
    - Grazie, quel Poli è veramente fantastico ed anche l’attrice, Ludovica Modugno non è da meno, non credevo che ti piacesse questo genere di teatro, sono veramente contenta, a domani.
    Ciao, dico triste, il mio spettacolo era andato via e io continuavo a fissare il portone ormai chiuso,pensavo, secondo me se la tira troppo, ecco, ma chi sarà mai poi sto’ Poli?
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    esteriade
    Post: 1.029
    Registrato il: 22/11/2005
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    00 01/06/2006 09:46
    :D :D :D

    e chi sarà mai 'sto Poli?! :D

    grazie P@rker, è stato molto carino leggere del Ponte di Saint-Louis Rey (è questo il titolo giusto, o sto rimischiando le carte come mio solito? :imb: ) attraverso gli occhi di uno spettatore così "disinteressato" :D

    vedi che ho ragione io che il teatro è magico?

    E' tutto quello che è fuori che sa di "finto" e di confuso!

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    (Ipanema)
    Post: 1.677
    Registrato il: 21/11/2005
    Utente Veteran
    00 01/06/2006 09:49
    ahahah!
    Sarebbe da rimettere a posto con un po' di editing, ma acchiappa come narrazione e il finale è simpaticissimo!

    ma allora scrivi, altro che solo teatro! Mica lo vuoi anche tu un cassetto? ;)
    _________________________________
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    (Faith Whittlesey)
  • p@rker
    00 03/06/2006 00:20
    OOOOOhhhhh!!sembra che vi sia piaciuta la mia risposta "pratica"!
    Si Est.. hai ragione! Ma anche il racconto non è la realtà, come
    non lo è lo spettacolo, sicuramente rappresenteranno i sogni di
    qualcuno che si realizzano, ma non i nostri. (lo spettacolo era
    proprio quello ;) )
    Vedi Ipa (scusami se avevo chiesto il tuo nome) il mio raccontino
    ti ha fatto sorridere e sembra abbia chiarito il mio punto di
    vista, il mio scopo è stato ragiunto, io credo che scrittori o
    poeti non si diventa, certo la forma (o si dice editing?) conta
    ma se manca la "fiamma" è tempo perso!
    Grazie comunque se mai dovessi scrivere qualcos'altro te lo
    farò sapere :)
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    esteriade
    Post: 1.038
    Registrato il: 22/11/2005
    Utente Veteran
    00 05/06/2006 19:54
    Scusami p@rker...mi sa che usavamo la stessa parola per dire due cose diverse.
    io intendevo la realtà delle emozioni, non quella pratica. sì anche il racconto è "finzione", nella tua ottica...nella mia è un concentrato, un frammento di vita vera semplicemente decontestualizzato, e come per tutte le cose, secondo me, forma e sostaza vanno assolutamente insieme. ;)
  • p@rker
    00 06/06/2006 14:12
    come si può decontestualizare un frammento di vita vera?
    Io credo che soprattutto i racconti brevi non abbiano alcun
    legame con la realtà oggettiva di chi li scrive, ma piuttosto
    siano i sogni peggiori/migliori che vengono "realizzati"..scrivendoli.
    Rimango veramente ammirato se riesci a vivere la tua vita e le
    tue emozioni, riuscendo poi a concentrare anche solo un frammento
    di tutto ciò nei tuoi racconti!!!

    Incuriosito ne ho letto qualcuno, complimenti davvero, non so fino
    a che punto c'entri con il discorso di prima, ma sono rimasto molto
    colpito da come scrivi, il tuo "scelte" è così intenso che l'ho
    letto tutto d'un fiato ...
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    esteriade
    Post: 1.053
    Registrato il: 22/11/2005
    Utente Veteran
    00 06/06/2006 15:22
    Non lo so come si può fare, pa@rker, a me sembra che sia quello che io faccio quando scrivo.
    se l'emozione di cui scrivo non è realmente sulla mia pelle in quel momento, non ne so scrivere.
    Per decontestualizzazione intendo dire semplicemente che il racconto, con la sua trama, i suoi personaggi, la sua ambientazione, possono, anzi, spesso nel mio caso sono, altro rispetto alla realtà mia concreta quotidiana (alias non sono autobiografici). e la realtà si ricrea, non si imita.
    hai preso a esempio il testo più esemplificativo. non serve essere una prostituta di mestiere per raccontarne i pensieri. in un qualsiasi momento della vita reale, può essere capitato di vivere però emozioni che hanno a che fare con quella realtà. ecco la decontestualizzazione. prelevo con un paio di pinze sottilissime quel frammento e lo riporto in un contesto "ricreato".

    in teatro accade lo stesso, almeno per come l'ho vissuto e vivo io. l'attore non diventa quel personaggio, ma paradossalmente se non vive le emozioni giuste, se non le va a pescare nel proprio tessuto emozionale, prelevandolo con una pinza sttilissima per portarlo nel contesto drammaturgico, allo spettatore arriva la farsa, l'imitazione, lo scimmiottamento, e quello con la realtà non ha niente a che vedere.