Dunque se mi viene suggerita una modifica, ben venga, e ben vengano le critiche, ma il lavoro di "revisione" di ogni cosa che scrivo è in larga parte privo del piacere che traggo dalla prima stesura.
Pur condividendo gran parte di quello che hai scritto, su questo punto qua non riesco a essere tanto d'accordo. Ma qui credo siamo semplicemente nell'ambito delle esperienze personali.
Quando revisionavo i miei scritti, spesso, provavo un senso di soddisfazione di gran lunga superiore a quando avevo scritto.
Sarà che tendo a essere una perfezionista? Potrebbe essere.
Però so che era nel passaggio di revisione che riuscivo a trovare il giusto distacco e la giusta lucidità nei confronti di quel che magari solo per moto emotivo avevo buttato giù.
Mi divertiva molto anche tentare di stravolgere il testo seguendo un'ottica altrui, e verificare che elasticità avesse (e in questo forse c'è una "perversione" teatrale più che scrittoriale).
Se in libreria abbiamo i libri di un Totti, le memorie di un Briatore, i quaderni politici di un Calderoli, si vede bene che l'editor diventa un'entità da cui non si può (e non si deve, pena la morte cerebrale permanente) prescindere.
Non dimentichiamoci i Dieci+ di Alex Del Piero, pubblicato addirittura da Mondadori (sarà che la Cepu funziona davvero?!)
Dunque più che sull'esisteza degli editor, a questo punto un dato di fatto così come il loro ruolo sempre più importante, credo che il problema stia molto a monte, e se una soluzione esiste, al momento, la vedo solo nella creazione e nello sviluppo di nuovi sistemi editoriali e distributivi, slegati dal mercato (per quanto possibile) nella fase creativa.
Bisognerebbe stabilire quando finisce la fase creativa. E questa mi sembra, stando a quel che si sente in giro, un'impresa ardua.
Io credo, e sicuramente sbaglio, che finchè l'autore scrive o crea senza pensare ai vincoli di mercato che esistono per dare "pubblica vita" alla sua opera, il suo atto creativo segue una via (che teoricamente dovrebbe essere quella libera). Via che devia improvvisamente (sono sicura non per tutti, ma per molti sono altrettanto sicura che sia così) quando entra in ballo il famigerato concetto di "pubblicabilità" (che a naso direi sia dettata più da parametri di marketing che di vero valore dell'opera). Questo è purtroppo più vero per gli autori "giovani", privi di forza contrattuale di fronte all'editoria.
Creazione e sviluppo di sistemi editoriali e distributivi sarebbero auspicabili. Tocca purtroppo fare i conti con la realtà, e questa non è certo incoraggiante.
Io continuo a sostenere, e lo credo sempre più fermamente, che la cosa più alternativa realisticamente fattibile sia smettere di alimentare il "business editoriale delle penne ignote" e ricominciare a chiedere cultura e creatività. E attualmente il gran numero di esordienti o aspiranti scrittori, in Italia, sembra troppo spesso invece pronta a far "carne da macello" pur di esserci. E anche qui è questione di scelta personale.