Editor sì o editor no?

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esteriade
00giovedì 1 marzo 2007 17:39
il dibattito m'è sembrato molto interessante.
lo trovate qui.

Inutile dire che è uno dei dibattiti dal sapore "ideologico" che non riuscirà a cambiare molto nella realtà, ma già il fatto che ci si ponga il problema e se ne parli mi pare un buon segno.
(Ipanema)
00giovedì 1 marzo 2007 18:50
direi che è perfetto per quanto si sta dibattendo in questi giorni qui sul fiae...
brava marianna.
Ipa
esteriade
00giovedì 1 marzo 2007 19:01
Il grazie va a Marco salvador che sul blog di Remo ha parlato di questa cosa [SM=g27822]
Io mi sono limitata a seguire il link, leggere, e trovarlo interessante e opportuno [SM=g27835]

(Ipanema)
00giovedì 1 marzo 2007 19:04
L'ho letto con attenzione. E chiaramente mi sento in feeling con Massimiliano Parente.
Ma è vero anche che qui si parla di "editing invasivo", che non solo interviene sulle parole, snellisce pesantezze, rende più sciolta la narrazione. Qui si parla di interventi strutturali veri e propri, di intreccio, di altro.

Carla Benedetti:

Oggi molti scrittori sembrano invece essersi abituati all'idea che il loro libro verrà modificato in maniera invasiva. Che l'editore, o chi per lui, non gli indicherà solo gli errori, le sviste, le ripetizioni, non gli darà solo consigli per evitare inutili pesantezze, ma metterà le mani nella scatola nera dell'ideazione, della costruzione, della strutturazione, dello stile.



E ovviamente questo non può essere approvato, anche se, quello che avevo immaginato io dell'editing, viene abbondantemente superato, visti i racconti e viste le esperienze.


Ma a questa idea non sono invece ancora abituati i lettori di romanzi. Molti non sanno nemmeno cosa sia questa nuova figura che sta diventando sempre più presente, soprattutto nella narrativa. L'editing ha fatto finora parte dei "segreti di fabbricazione", che non si rivelano



vero, verissimo. Parlando con amici lettori accaniti, spiegavo l'interesse per la professione dell'editor: sono caduti dalle nuvole, mano a mano che descrivevo quelli che sono i compiti di un editor, impallidivano, o non ci credevano.





(Ipanema)
00giovedì 1 marzo 2007 19:08
Re:

Scritto da: esteriade 01/03/2007 19.01
Il grazie va a Marco salvador che sul blog di Remo ha parlato di questa cosa [SM=g27822]
Io mi sono limitata a seguire il link, leggere, e trovarlo interessante e opportuno [SM=g27835]


ù

sì, sul Blog di Remo Bassini c'è sempre un argomento inerente la scrittura, l'editoria o l'editing di gran gusto e estremo interesse.
esteriade
00giovedì 1 marzo 2007 21:49
Parenti e Benedetti non mi sono sembrati in opposizione. La questione l'ha aperta proprio la Benedetti non facendo la recensione del romanzo di...mi sono scordata il nome, ovviamente, per presa di posizione.

Io non ho le competenze per stabilire cosa un editor debba davvero fare, e tutto può sembrarmi "invasivo".
Sono sempre più dell'opinione che la scrittura è un sistema talmente complesso che a toccare anche solo una virgola può determinare cambiamenti imprevedibili.
Finché un testo ha una sua coerenza stilistica e questa è bilanciata rispetto alla storia, io non riuscirei a proprorre cambiamenti. Preferisco tentare di adeguarmi io al codice usato dall'autore, e se non mi riesce arrivo semplicemente alla conclusione che tra me e quel testo non passa la comunicazione. E non do per scontato che questa debba sempre esserci. Esattamente come tra due persone quando parlano.
Nella comunicazione sono presenti tante di quelle sfaccettature che si potrebbe anche usare tutti la grammatica in maniera impeccabile, una dizione perfetta...eppure non è detto che la comprensione diventi intesa.
Con i libri io cerco l'intesa. Non la trovo in tutti, ovviamente.

L'argomento editor diventa spinoso, e tanto, perché leggendo mi accorgo che è purtroppo, molto tristemente vero, che c'è una sorta di tendenza all'appiattimento stilistico e forse anche dei temi. Magari da questo genererà una nuova corrente letteraria, chi può dirlo, di fatto c'è che quando incontro l'ennesimo libro, scritto "ennesimamente" allo stesso modo, spersonalizzato e inacsellabile, beh più che a una corrente letteraria mi vien da pensare a una corrente commerciale.

Ultimamente ho letto due autori stranieri che mi hanno letteralmente catturata. Spero che almeno su di loro non sia stata fatta nessuna operazione oltre la traduzione e la correzione dei refusi del traduttore. Se pensassi che l'Houellebecq o l'Eugenides con i quali ho una forte "intesa" sono solo dei nomi in copertina, mi sentirei un tantino tradita.
Il che volendo è anche stupido, visto che il mio legame è con i loro libri e non con gli autori, e però, c'è poco da fare, mi scoccerebbe lo stesso. (Ma tendo a credere che sugli autori stranieri manomissione di editor non ce ne sia. Con gli stranieri gli editori vanno vigliaccamente sul sicuro.)

(Ipanema)
00giovedì 1 marzo 2007 22:29
mah, io invece tendenzialmente sono propensa a pensare che proprio dall'estero sia partita questa pratica, e che addirittura ormai sia in uso altrove, mentre qui, si sta prendendo coscienza della cosa solo ora... parlo dei lettori in generale.

Non mi ricordo più in quale libro (ma capita ormai quasi sempre) americano, in cui l'autore ringraziava il suo editor per le correzioni e la consulenza data per l'intreccio narrativo. Mi è venuto in mente ora, a dire il vero... si vede che la cosa l'avevo totalmente rimossa.

Pensa, ma te lo potrà confermare con maggior competenza Marina, per esempio che la J.K. Rowling ha un editor in USA e uno in Inghilterra. Quello in USA gli revisiona il testo (Marina corigetemi se sbalio!) per quelle parti di idioma che differenziano dall'inglese britannico, e i fan del maghetto si sono accorti che nel 6 libro, in un particolare punto cruciale, di particolarissima tensione, nell'edizione americana ci sono almeno una trentina di parole in più (che spiegherebbero un po' di più, o forse meglio, una certa cosa a proposito di un personaggio "cattivo" nella storia). Ciò ovviamente ha dato il via a una ridda di interpretazioni e speculazioni sul 7 libro.

Altro esempio, nel 4 libro, il maghetto Harry Potter si trova alla fine del libro a contrastare il suo nemico storico Voldemort. Le bacchette magiche si incontrano dando vita a un particolare incantesimo che fa tornare indietro dalla bacchetta del mago cattivo tutte le persone che con quella bacchetta sono state uccise, ovviamente a ritroso. Ebbene, i fan hanno riscontrato un errore nell'uscita dalla bacchetta di un certo personaggio e alla richiesta di spiegazioni all'autrice è stato risposto che l'editor americano aveva insistito che la sequenza giusta era quella che poi è stata pubblicata, e dopo molte discussioni (per una sequenza di uscita di un personaggio!) ha dovuto cedere e dare alle stampe in quel modo.

Ecco... questo è un esempio di come all'estero l'editor sia ormai una pratica abituale (non so in francia o nei paesi dell'est) se non addirittura scontata.
nutella bric
00venerdì 2 marzo 2007 09:32
Nonsoloforbici
Dalla Chiacchierata sulla scrittura n° 24 (miii, sembro il prete che cita le Sacre Scritture! [SM=g27831] )

"Non voglio dire che un buon editor dovrebbe sempre traslocare a casa dei suoi autori. Ma, ogni tanto, è proprio necessario. Non si può entrare nell’immaginazione di Luisa senza entrare anche, almeno per un po’, nei suoi luoghi. Io frequento abbastanza l’Emilia, al suo paese ero già stato, ma di una gita d’un paio di giorni c’era proprio bisogno. Non mi è passato neanche per l’anticamera del cervello di farla salire a Padova o a Milano. No, sono sceso io. Poi, Luisa è una donna. E il suo libro, si sarà capito, è un libro differente. Per me, che sono maschio, la faccenda non è semplice. Spesso, semplicemente non capisco. O non capisco, ad esempio, quanto di ciò che dice e racconta Luisa ap-partenga al suo immaginario, e quanto invece appartenga al suo mondo reale. Non so nemmeno se l’immaginario, per me e per lei, siano la stessa cosa. Se la relazione col mondo, per me e per lei, siano la stessa cosa. È anche per questo, tra l’altro, che tengo molto a questo libro: perché mi sembra assai bello, ma mi sfugge. Succede anche questo, all’editor ambulante: inseguire, fino nel profondo dell’Emilia, un libro che gli sfugge. E poi dire, candidamente: “Non so ben che dire”. Perché uno dei compiti dell’editor, del quale non si parla mai, ma è uno dei più importanti, è questo: amare i libri futuri, amarne il mistero."

Appunto, non se ne parla mai.
Ma a proposito di tempo perduto... Parenti e la Benedetti non hanno un capolavoro da scrivere? [SM=g27829]
newat49
00venerdì 2 marzo 2007 10:09
Non so nulla di editor. Non sono contrario al fatto che qualcuno revisioni il mio lavoro, lo corregga (ove necessario), dia degli input di 'montaggio' del materiale. Se invece entra invasivamente nella storia, addirittura nella trama, allora questo per me è ghost writing, non più editing. Allora sono DECISAMENTE contrario. Se un editor ha in mente una storia diversa dalla mia, SE LA SCRIVA!
ciumeo
00venerdì 2 marzo 2007 15:51
Sarò verboso: l'argomento è complesso, e appassionante. Ho molto apprezzato i due articoli, ricchi di spunti di riflessione. Per come la vedo io, l'esistenza degli editor è necessaria, quello che mi preoccupa è il ruolo che essi hanno assunto ( e che vanno sempre più imponendo). Credo che, in qualche modo, qualsiasi scrittore di qualsiasi epoca si sia circondato di editor, dove questi altri non erano che amici, conoscenti, partecipanti a caffè letterari, disposti a discutere, commentare, fornire input (tutto ciò è basato più sul mio immaginario più che su una reale conoscenza dei fatti): in quest'ottica ho avviato la collaborazione con Emiliano, e ho cominciato a partecipare attivamente a questo forum. Io, in quanto scrittore, so cosa voglio dire e come voglio dirlo, e detta papale papale il mio interesse sta nello scrivere, più che nell'esser letto. Nel senso che trovo la scrittura una necessità, l'esser letto un'opportunità: da qui, l'esigenza del confronto sta più che altro nel cercare di stabilire quanto di quello che scrivo sia comprensibile e apprezzabile, tenendo presente però che se anche qualcuno mi dice "questa tua poesia è una schifezza" o "è un capolavoro", quel che conta per me è già avvenuto, nel momento in cui l'ho scritta. Dunque se mi viene suggerita una modifica, ben venga, e ben vengano le critiche, ma il lavoro di "revisione" di ogni cosa che scrivo è in larga parte privo del piacere che traggo dalla prima stesura. Tutto ciò per arrivare a dire che l'editor a mio parere è accessorio allo scrivere, e necessario al vendere: il decadimento di gran parte di ciò che viene proposto a ogni livello (musica, scrittura, cinema in primis, ovvero l'arte che può esser venduta alle masse) è a mio parere figlio delle logiche di mercato, così come lo è la "necessità" dell'editor. Se in libreria abbiamo i libri di un Totti, le memorie di un Briatore, i quaderni politici di un Calderoli, si vede bene che l'editor diventa un'entità da cui non si può (e non si deve, pena la morte cerebrale permanente) prescindere. Dunque più che sull'esisteza degli editor, a questo punto un dato di fatto così come il loro ruolo sempre più importante, credo che il problema stia molto a monte, e se una soluzione esiste, al momento, la vedo solo nella creazione e nello sviluppo di nuovi sistemi editoriali e distributivi, slegati dal mercato (per quanto possibile) nella fase creativa. E' in quest'ottica che ho molto apprezzato Q di Wu-Ming (e ricordo che una cosa è la sartoria, un'altra la catena di montaggio), incontrato proprio mentre rimuginavo sulla possibilità (presumibilmente utopica) di fondare un luogo da cui la qualità emerga in modo automatico, e sia determinata esclusivamente dai lettori. Tutto ciò che sta in mezzo a lettori e autori io lo vedo come un ostacolo, e un pericolo multiforme, dove intravedo una sorta di censura aprioristica, autoimposta per "il bisogno di vendere". Ognuno poi intende scrittura e mercato come crede, molti ne sanno più di me e avranno idee diverse, questo non può cambiare il mio punto di vista dato che ci ho costruito (almeno in parte) ciò che sono. E ciò che sono implica il massimo rispetto per editor come Emiliano o Ipanema o gli altri che discorrono tra loro su questo e altri forum, i quali esprimono le loro idee (per quanto ancora possibile) senza che esse obbediscano a ricerche di mercato, interessi particolari, mode del momento, vacuità imperante.
Augh, ho detto.

[Modificato da ciumeo 02/03/2007 15.59]

esteriade
00venerdì 2 marzo 2007 20:31
Re:

Dunque se mi viene suggerita una modifica, ben venga, e ben vengano le critiche, ma il lavoro di "revisione" di ogni cosa che scrivo è in larga parte privo del piacere che traggo dalla prima stesura.



Pur condividendo gran parte di quello che hai scritto, su questo punto qua non riesco a essere tanto d'accordo. Ma qui credo siamo semplicemente nell'ambito delle esperienze personali.
Quando revisionavo i miei scritti, spesso, provavo un senso di soddisfazione di gran lunga superiore a quando avevo scritto.
Sarà che tendo a essere una perfezionista? Potrebbe essere.
Però so che era nel passaggio di revisione che riuscivo a trovare il giusto distacco e la giusta lucidità nei confronti di quel che magari solo per moto emotivo avevo buttato giù.
Mi divertiva molto anche tentare di stravolgere il testo seguendo un'ottica altrui, e verificare che elasticità avesse (e in questo forse c'è una "perversione" teatrale più che scrittoriale).


Se in libreria abbiamo i libri di un Totti, le memorie di un Briatore, i quaderni politici di un Calderoli, si vede bene che l'editor diventa un'entità da cui non si può (e non si deve, pena la morte cerebrale permanente) prescindere.




Non dimentichiamoci i Dieci+ di Alex Del Piero, pubblicato addirittura da Mondadori (sarà che la Cepu funziona davvero?!)


Dunque più che sull'esisteza degli editor, a questo punto un dato di fatto così come il loro ruolo sempre più importante, credo che il problema stia molto a monte, e se una soluzione esiste, al momento, la vedo solo nella creazione e nello sviluppo di nuovi sistemi editoriali e distributivi, slegati dal mercato (per quanto possibile) nella fase creativa.



Bisognerebbe stabilire quando finisce la fase creativa. E questa mi sembra, stando a quel che si sente in giro, un'impresa ardua.
Io credo, e sicuramente sbaglio, che finchè l'autore scrive o crea senza pensare ai vincoli di mercato che esistono per dare "pubblica vita" alla sua opera, il suo atto creativo segue una via (che teoricamente dovrebbe essere quella libera). Via che devia improvvisamente (sono sicura non per tutti, ma per molti sono altrettanto sicura che sia così) quando entra in ballo il famigerato concetto di "pubblicabilità" (che a naso direi sia dettata più da parametri di marketing che di vero valore dell'opera). Questo è purtroppo più vero per gli autori "giovani", privi di forza contrattuale di fronte all'editoria.

Creazione e sviluppo di sistemi editoriali e distributivi sarebbero auspicabili. Tocca purtroppo fare i conti con la realtà, e questa non è certo incoraggiante.
Io continuo a sostenere, e lo credo sempre più fermamente, che la cosa più alternativa realisticamente fattibile sia smettere di alimentare il "business editoriale delle penne ignote" e ricominciare a chiedere cultura e creatività. E attualmente il gran numero di esordienti o aspiranti scrittori, in Italia, sembra troppo spesso invece pronta a far "carne da macello" pur di esserci. E anche qui è questione di scelta personale.
esteriade
00sabato 3 marzo 2007 00:12
Sul blog di Remo Bassini il dibattito sull'editing prosegue, e in maniera molto interessante (arricchito dell'esperienza diretta di chi è editor).
Invito chi è interessato alla questione a darci un occhio: è un dire molto schietto e chiarificatore, o comunque utile, tanto per sapere come funzionano o possono funzionare le cose.
(Ipanema)
00sabato 3 marzo 2007 09:55
La discussione è interessantissima, come lo sono tutte del resto le discussioni promosse da Remo. Non ho letto ovviamente tutto tutto, non ho molto tempo da dedicare a queste letture in questi giorni.

Alcune cose però saltano agli occhi:

1. L'editing non è cosa solo dei nostri tempi, è qualcosa che è stata sempre fatta. Del resto, qualcosina salta fuori dalle Lezioni americane di Calvino, e anche dalle lezioni di Carver che vengono riportate alla fine del suo libro, si evince che l'editor interviene a semplificare o a rendere più sciolto un passaggio o un capitolo.

2. C'è editing ed editing. In genere è solo la ricerca e correzione di refusi e passaggi poco chiari, è un lavoro di concerto con l'autore, non è stravolgere lo stile ma appunto migliorarlo, renderlo più efficace. C'è un editing invasivo che - e stavolta non sono solo io a pensarlo, ma c'è qualcuno di più "autorevole" a dirlo prima di me - addirittura cambia capitoli, struttura dei romanzi, riscrive o fa riscrivere finali e quant'altro.
Il primo editing io - da aspirante scrittore - lo approvo incondizionatamente. Il secondo, tendo a condannarlo decisamente.


In ogni caso, demonizzato o santificato, la figura dell'editor per me ha un fascino che va oltre al piacere dello scrivere personale. Se riuscissi a diventare editor, sarò masochista, sarò strana, dite quello che volete, ma abbandonerei totalmente la mia scrittura per leggere, semplificare, focalizzare quella di altri.

Dite la vostra che io ho detto la mia.
(Ipanema)
00sabato 3 marzo 2007 10:00
Sull'intervento di Enrico/Ciumeo di prima e la risposta di Marianna riguardante la ri-scrittura o re-visione del testo, concordo con Marianna. Pur ammettendo che inizialmente la sola idea di cambiare una virgola in un testo già scritto mi ripugnava, dal momento in cui sono riuscita ad accettare che un testo va revisionato e molte volte vale la pena addirittura di riscriverlo completamente, la soddisfazione quasi fisica della riscrittura e della revisione è addirittura superiore all'estasi creativa della prima stesura.

Ri-scrivere è ostico al solo pensare. Revisionare pure. Ma nel momento in cui accetti di farlo, diventa ancor più inebriante dello scrivere stesso.

Augh, anch'io ho detto.
Ciao Ciumeo, grazie mille per i tuoi interventi appassionati. Sono importantissimi per tutti noi del Fiae. [SM=g27823]
ciumeo
00sabato 3 marzo 2007 19:44
"ma il lavoro di "revisione" di ogni cosa che scrivo è in larga parte privo del piacere che traggo dalla prima stesura"

In effetti intendo qualcosa di più complesso: il lavoro di revisione è una cosa che "devo fare", la prima stesura è una cosa che "voglio" fare. Ne traggo due piaceri molto diversi, e nella ristesura spesso rimango amareggiato dai miei errori, mi annodo e mi intestardisco e cambio le cose dieci volte. E, alla lunga, la cosa mi consuma, così spesso dichiaro uno scritto concluso semplicemente perché non ce la faccio più. A volte mi capita di riscrivere daccapo, altre volte mi inchiodo su un pezzo di trama che non mi torna. Insomma, sono due cose profondamente diverse, una fluisce l'altra è un percorso a ostacoli: il piacere dello scrivere sta nel gesto stesso, mentre il piacere dell'editare deriva più, credo, dal riscontro che migliora ogni volta (quando l'editing funziona"), e dalla coscienza di aver scritto qualcosa di decente. Il problema è che il riscontro è fatto di cinque, sei persone, e non posso sottoporle a troppe revisioni e riletture, già è difficile trovare il tempo di leggersi un bel romanzo, figuriamoci il tempo di rileggersi a ripetizione un "work in progress": quindi tutto si svolge più che altro nella mia testa, che nel frattempo inventa nuovi racconti, ha altre idee. Cacchio, sto cambiando idea: MI SERVE UN EDITOR CHE SI SBATTA AL POSTO MIO!!!
Questo, intendevo :)
esteriade
00sabato 3 marzo 2007 20:14
Ciumeo...sei un indisciplinato! [SM=g27828]

[SM=g27828]
(Ipanema)
00domenica 4 marzo 2007 01:44
Re:

Scritto da: esteriade 03/03/2007 20.14
Ciumeo...sei un indisciplinato! [SM=g27828]

[SM=g27828]



LOL... quoto Marianna. [SM=g27828] [SM=g27828]
Guida
00lunedì 5 marzo 2007 14:16
Assolutamente contraria all'editing invasivo. Per riprendere la metafora del blocco di marmo, se io c'ho visto un cavallo, l'editor puo' dare una mano di sclapellino x migliorare coda e criniera, ma non puà trasformarmelo in una zebra, perché se lui vuole la zebra si pigli il suo blocco e lavori quello lì.
Conseguentemente trovo patetico che quell'editor (mi sfugge il nome ora) metta le mani vanti dicendo "io sono l'editor di...". Non me ne frega nulla, e lo trovo disonesto, non solo xké mettele mani avanti ma perché vuol brillare di luce riflessa. E per me puoi essere il miglior editor del mondo ma essere un pessimo scrittore, e viceversa. Non è che le due cose van necessariamente a braccetto.
Ritengo inoltre che l'ultima parola debba essere dell'autore, anche se è suo dovere colllaborare per trovare una soluzione di compromesso che soddisfi entrambi
oroboros
00mercoledì 15 agosto 2007 20:59
Accetterei solo consigli che migliorassero la chiarezza e la fluidità del racconto, oltre alla correzione d'errori. Se però si cercasse d'intervenire sullo stile... raccoglierei i fogli e tornerei a casa mia. Ma è un problema che non avrò mai.
Oraca
00mercoledì 26 settembre 2007 13:10
Che stranezza questa cosa dell'editor!! Sinceramente, ma non è un concetto troppo sfruttato? L'editing com'è adesso nasce dal pretesto di arricchire le tasche della casa editrice e dello scrittore in questione, che se si fa dare una mano perfino a buttare giù la trama della storia cessa di essere scrittore! Diventa un mero imprenditore che si vuole far conoscere per meriti non suoi, o almeno non suoi del tutto. Personalmento ritengo che anche la forma sia essenziale per un certo tipo di narrazione. Mi spiego: allo stesso modo in cui non parlerei di un funerale come di una festa di compleanno per bambini, non accetterei che si minasse il mio stile creativo e formale da un estraneo che non capisce la motivazione che sta dietro a ogni parola. La scrittura, insomma, sia in prosa che in poesia, è un'espressione dell'anima e tale va lasciata! Una cosa è che io stessa controlli e sfoltisca il mio lavoro, tutt'altra storia se cerca di farlo qualcun altro! Come vi sentireste se foste voi gli editor? COS'E', un editor? Non credo che mi piacerebbe molto correggere i pezzi altrui, mi sentirei come una maestra di scuola elementare che controlla gli errori di ortografia senza mai fare un passo oltre. Pensate che qualcuno avrebbe potuto correggere il tratto scrittorio di Ungaretti o Montale, o, trattando l'argomento in un senso artistico di maggiore ampiezza, credete che qualcuno avrebbe potuto correggere i lavori di Picasso, o modificare la melodia dei Beatles(che hanno tirato fuori una musica mai sentita prima)? Sarebbe stato un insulto a un modo di esprimersi nuovo e diverso, ma di certo non di minore qualità. Totalmente contraria a questa forma di correzione obbligata. Toglie respiro.
Guida
00mercoledì 26 settembre 2007 18:47
Beh, ma la poesia e la pittura son cose diverse, qua si parla di editing (non ivnasivo) su narrativa, x migliorare passaggi che potrebbero fluire meglio o essere più chiari al lettore. E questo non costa un centesimo perchè l'editore lo fa di default sul manoscritto che pubblica.

Quanto ai Beatles, non erano mcia soli, avevano George Martin che gli faceva gli arrangiamenti ;)
Oraca
00venerdì 28 settembre 2007 12:57
Quello che intendo dire è che, a mio parere, qualunque forma di editing che non sia strettamente ortografica può risultare invasiva.
Perchè poesia, pittura e musica sarebbero differenti? Non sono sempre forme d'arte?
cattleja
00lunedì 1 ottobre 2007 09:48
In parte sono d'accordo con Oraca e in parte no.
E' vero che se io dico ad esempio : "più non passa" o "non passa più", la seconda forma è più agevole, ma la prima può avere per me un significato particolare e se la dico in quel preciso contesto un motivo ci sarà.Correggendola quindi stravolgo il significato subliminale del mio testo, lasciando comunque il significato sostanziale lo stesso, però il messaggio latente che voglio far passare cambia.
E' anche vero però che fluidificando la scrittura le cose si semplificano parecchio.
(Ipanema)
00giovedì 4 ottobre 2007 09:35
così, giusto per dare una risorsa in più, segnalo il link al blog di Simona Cremonini, sezione "editing":

creativaconcc.blogspot.com/search/label/Editing%20e%20Correzione...

dove si scopre che l'editor esisteva anche agli Albori del Tempo.

[SM=g7306]
Guida
00giovedì 4 ottobre 2007 12:20
Re:
Oraca, 28/09/2007 12.57:

Quello che intendo dire è che, a mio parere, qualunque forma di editing che non sia strettamente ortografica può risultare invasiva.
Perchè poesia, pittura e musica sarebbero differenti? Non sono sempre forme d'arte?




Per la poesia, l'esmepio di Catt è già illuminante ed esprieme perfettamente il mio pensiero. Per la pittura,e lo steso discoros, è troppo soggettiva, nel senso: chi puòdirti che devi disegnare x forza un uomo con due braccia anziché tre?

Ma se invece narri una storia, l'editor ti può dire benissimo: guarda che se non spieghi prima questo quello che succede dopo non si capisce. Nella ostruzione di un romanzo ci deve essere una logica oggettiva che è assente invece in altre forme di espressione come la poesia e la pittura
RaffaeleAbbate
00giovedì 17 gennaio 2008 18:53
anche io ho avuto a che fare con una editor
Il mio romanzo prima della stampa è stato "passato" ad una editor.

A parte la correzioni dei refusi, di qualche incongruenza e delle ridondanze e ripetizioni, la signora mi a chiesto:
A) Di ridurre il testo di una quarantina di pagine eliminando delle disgressioni su personaggi di contorno
B)Di cambiare la sequenza narrativa in taluni punti ...

Quando ho letto la sua mail, a momenti diventavo idrofobo

Poi ho ragionato ed ho fatto mente locale sul mio testo in maniera oggettiva ...
E mi sono convinto, abbiamo ragionato, discusso al telefono ed alla fine ho accettato una buona parte dei suggerimenti della editor ...

E le parti tagliate ...
Verranno buone per un'altra volta.
Ciò che si scrive è come il maiale, non si butta nulla.
(Ipanema)
00venerdì 18 gennaio 2008 08:12
era a favore o contro le d eufoniche la tua editor?
Sto facendo una sorta di indagine, perché mi sto rendendo conto che questa storia delle d eufoniche è piuttosto una questione più auspicata che praticata...
(della serie che solo pochissime case editrici, quali Mondadori e Bompiani, propugnano l'eliminazione delle d eufoniche, ma in altri testi di altre case editrici che trovo in libreria, le vedo, le sento come sassolini in una scarpa e mi domando: perché allora strombazzarci tanto su?)

ciao, grazie per il tuo intervento/esperienza. E' molto importante per tutti coloro che vogliono avvicinarsi alla scrittura e che passeranno di qui.

I.
RaffaeleAbbate
00venerdì 18 gennaio 2008 10:58
le d eufoniche
è un problema che non si è posto ....

già in fase di scrittura ho cercato, per quanto possibile, di evitare la necessità della stessa, mutando la frase o la parola.

Io personalmente la trovo insopportabile, accademica.
Ad esempio la frase precedente la potevo scrivere anche "insopportabile ed accademica".
Usando la virgola al posto della congiunzione la frase diventa più determinata.

La fissa della mia editor: contro l'abuso degli avverbi.
RaffaeleAbbate
00venerdì 18 gennaio 2008 11:09
ps
ovviamente se scrivo di getto, come se parlassi, l'adopero, ma mi rendo conto che è solo una esigenza di orecchio.
Quindi in una scrittura più attenta credo ci si debba limitare all'essenziale, quando da una lettura ad alta voce c'è cacofonia ...anche per togliere quella patina di vecchio al testo.

Nelle parti dialogate la uso solo se il personaggio che parla è evoluto, anzi adopero anche il desueto od per accentuare il linguaggio affettato.
Un cameriere, un camorrista, un killer non sa neanche cosa sia la D eufonica.

(Ipanema)
00sabato 2 giugno 2012 13:31
[SM=g20550]
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