00 19/12/2011 12:09
La prima stesura di un mio racconto, o quello che dovrebbe assomigliare a un racconto, avviene in modo “artigianale”.
Impugno la penna dalla punta non troppo fine, me la rigiro un poco tra le dita e poi inizio a scarabocchiare sul Moleskine d’ordinanza.
La prima lettera la scrivo sempre con mano tremante, indecisa. Il resto acquista sicurezza parola dopo parola, come me del resto.
Scrivo così perché voglio rendere il tutto più umano possibile. Voglio rivedere gli errori, le titubanze; voglio avere la mani sporche d’inchiostro, la mano destra che mi fa male.
Ho bisogno di musica sparata dritta nelle orecchie o di silenzio tombale, due cose opposte che dentro di me provocano lo stesso identico risultato: impastano idee.
Non sono una fumatrice incallita ma devo ammettere che, soprattutto mentre rileggo, una sigaretta me la concedo volentieri. Le mie parole, lette ad alta voce, hanno tutto un altro sapore con un po’ di nicotina in bocca, insieme a litri di caffè bollente.
Scrivo quando devo, quando un’idea mi prende all’improvviso o un’immagine mi si stampa nella mente in maniera talmente nitida da non poter far altro che appuntare tutto sul quaderno nero che porto con me. E’ facile quindi trovarmi accucciata nell’angolo di un qualsiasi supermercato, libreria, ikea, negozio, museo, posseduta dal demone della scrittura, poi però arriva la sera con il buio appresso, io apro diligentemente lo “scarabocchiario” e sistemo, cancello, affino, ordino. Vesto i panni della sarta improvvisata, le parole quelle degli scampoli e vediamo quello che ne esce.
Il Pc è solo l’ultimo passo. Mi rendo conto che sia un elemento fondamentale ma abbiamo un rapporto burrascoso, che non accenna a migliorare. Forse col tempo. Forse.