| | | Post: 4 | Registrato il: 15/04/2007
| Utente Junior | | OFFLINE | |
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Nel ringraziare tutte voi (e in particolare la “padrona di casa”) per la disponibilità al dialogo, vorrei soffermarmi un attimo sulle dichiarazioni di Cattleja e TorreNord attorno al tema delle cosiddette “esigenze di mercato”. Cominciamo col dire che qui non si tratta affatto di suicidarsi commercialmente o meno, anche perché mode e tendenze cambiano in continuazione (il fantasy, per esempio, era dato per spacciato fino a qualche anno fa, ora è tornato in auge, domani non si sa). Si tratta piuttosto di operare una scelta mirata: rischiare giorno per giorno la sopravvivenza in ambito editoriale promuovendo soltanto lavori validi di per sé, o rischiare in misura decisamente minore editando soltanto instant-books. In un mercato aperto ognuno è libero di pubblicare quel che vuole, ma in ogni caso ci si assume dei rischi; anche chi segue le mode, infatti, per un investimento sbagliato può ritrovarsi sul lastrico, giacché ogni tendenza è destinata ad esaurirsi in un arco temporale più o meno breve. Ora, se io edito dieci romanzetti fantasy per seguire la corrente (investendo in essi ingenti risorse finanziarie), ma lo faccio nel momento in cui il genere fantasy perde (come si dice in gergo) “di tiro”, ci rimetterò una barca di soldi.
I rischi sussistono sempre, insomma. Assodato questo, ogni casa editrice deve compiere una scelta di politica editoriale: schierarsi dalla parte della qualità o dalla parte della quantità. I lettori devono compiere scelte similari, e così gli scrittori. La speranza è che il coraggio di chi punta sulla qualità venga poi ricompensato.
Gli scrittori esordienti non devono scendere a compromessi, da questo punto di vista; bisogna sempre avere la necessaria umiltà per tornare criticamente su quel che si è scritto, e tentare di migliorare un lavoro, ma non certo prendendo in considerazione fattori di appetibilità commerciale. A meno che non si voglia svilire se stessi, naturalmente.
L’esordiente che riceve un rifiuto non deve spazientirsi e mettersi a scrivere “quel che non sente”, ma rivolgersi altrove. È il consiglio che noi diamo a tutti gli scrittori: il fatto che a noi un lavoro non piaccia non implica che debba risultare sgradito a tutte le case editrici italiane, se il lavoro in questione presenta comunque qualche spunto degno d’interesse.
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