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Oggi salutiamo e ringraziamo l‘autore Amneris Di Cesare, Nient’altro che amare, Edizioni Cento Autori, giugno 2012 per averci aperto la porta della sua cucina e regalato una sua ricetta segreta!

La prima domanda di rito è: le piace mangiare bene? E cucinare?

Assolutamente sì a tutte e due le domande. Mi piace mangiare bene e far mangiare bene i “miei tre uomini” di casa. Di conseguenza mi piace cucinare.

Lo fa per dovere o per piacere?

Per entrambe le cose. Cucino tutti i giorni a pranzo e a cena. La monotonia mi annoia dopo un po’ e allora vado a cercare ricette nuove da sperimentare. Cucinare mi diverte, soprattutto quando si tratta di piatti elaborati e particolarmente difficili.

Invita amici o è più spesso invitato?

Invito spesso amici. E la cosa mi diverte un sacco. Curo con particolare attenzione e creatività anche l’apparecchiatura della tavola, che è uno dei miei piaceri più forti. Piatti, bicchieri, tovaglie improvvisate, di tutti i colori e che variano a seconda dell’occasione e del tipo di cibo. Per ragioni di “dieta”, invece, rifiuto molti inviti fuori casa, purtroppo.

Ha mai conquistato amici o un uomo cucinando?

A dire il vero non ci ho mai provato. No.

Vivrebbe con un compagno che non sa mettere mani ai fornelli?

Magari! Mio marito cucina benissimo, anzi, le basi, i rudimenti della cucina li ho appresi da lui. Il problema è che essendo estremamente pignolo, un vero e proprio perfezionista in tutte le cose, critica molto spesso quello che faccio. Invece, ho l’illusione che con un marito totalmente negato ai fornelli, qualunque cosa riuscissi a propinargli sarebbe sempre buonissimo. E poi non amo avere gente intorno a sollevare coperchi e ad assaggiare intingoli mentre cucino. Mi irrita profondamente. E invece, purtroppo mi capita spesso di dover bacchettare qualcuno dei miei uomini di casa perché stanno tentando di scoprire cosa sto cucinando di buono (o di cattivo).

Quando ha scoperto questa sua passione?

In realtà l’ho sempre avuta. Mia madre non sa cucinare, non ama i fornelli, ha il frigorifero rigorosamente vuoto, da sempre. Ovviamente non ha potuto farmi scuola. Mia nonna, che faceva la pasta sfoglia in casa tutte le mattine, se n’è andata prima che io avessi l’età per imparare a farla come la faceva lei. E io, fintanto che ho vissuto con i miei, coltivavo il sogno di una cucina tutta mia, con pentole di ogni tipo, forma e grandezza, e utensili particolari per realizzare torte, supplì, sughi e intingoli vari. Leggevo libri di cucina molto prima di aver provato a friggermi un uovo o a farmi due spaghetti aglio e olio. Poi ho iniziato a realizzare le prime ciambelle e torte. Si inizia sempre dai dolci, mi sa. E mi è piaciuto tanto che ho continuato.



Ci racconta il suo primo ricordo legato al cibo?

Io sono di Bologna, come i miei genitori, mentre i miei nonni materni erano imolesi trasferiti “nella città grande” durante la guerra. Trascorrevo tutti i fine settimana insieme a mio fratello dai nonni e il ricordo più vivo che ho è quello di mia nonna che di mattina, verso le 6:30 impastava e tirava la sfoglia a mano. Io restavo a guardarla, appoggiata al tavolo, con la mano sul mento, e ogni tanto le rubavo un po’ di impasto per mangiarlo di nascosto (lei non voleva che mangiassi la pasta cruda, fermentava nella pancia, diceva).

Ha un piatto che ama e uno che detesta?

Adoro le zuppe. Di fagioli, di ceci, di lenticchie, minestroni vari, persino la classica minestrina col dado. Purché brodose, amo tutti i tipi di minestre. E mi vengono molto bene. E poi i risotti. Impazzisco per il riso. Non ho piatti che detesto, l’unico alimento che proprio odio è il cetriolo. Mi disturba anche solo l’aroma di quell’ortaggio, a contatto con altre verdure.

Un colore dominante proprio di cibi che la disgustano?

Nessuno in particolare.

Quando è in fase creativa ha un rito scaramantico legato al cibo? Prende caffè? O tè, una bibita speciale per stare fermo a scrivere?

Quando sono in fase creativa, accanto a me ho sempre un tazzone di Nescafé macchiato con un po’ di latte. E soprattutto bollente. Anche d’estate.

Scrive mai in cucina?

Non così spesso. Se ho una pietanza sul fuoco, ho scoperto che è meglio che resti in prossimità del tegame, onde evitare che si bruci. Mi è capitato spesso, in passato. Ho quasi incendiato la cucina e ovviamente ho dovuto buttare una vecchia padella completamente carbonizzata. Ma se scrivo, in genere, scrivo a penna, e quindi posso anche stare nei pressi della cucina…

Altrimenti dove ama scrivere? e a che ora le viene più naturale?

Durante la prima stesura, non ho orari. Ma scrivo mentre aspetto i figli all’uscita da scuola, dal dottore, dal parrucchiere, perché uso penna e quadernino sempre a portata di borsa. Nella seconda fase, riscrivo di mattina, quando sono più libera, e di notte. In fase di riscrittura e correzione, la parte più complicata e laboriosa della scrittura, e che eseguo regolarmente a computer, generalmente staziono nella cameretta dove il mio portatile è vicino al wifi.



Si compra cibo pronto ( tramezzini, pizza, snack) o si cucina anche quando è molto preso dalla scrittura?

Quando scrivo, quando sono in preda all’onda creativa, mangiare è qualcosa che per me non esiste. E infatti riesco a seguire molto bene una dieta in quel periodo. Sono “piena” di altre sensazioni, tutte intensissime e che mi distolgono dal pensiero del cibo. Anche cucinare diventa un peso, qualcosa che mi distoglie dai miei personaggi, dalle mie ambientazioni. Ma cibi pronti, precotti mai. Sono assolutamente out dalla mia dispensa. Non amiamo molto il junk-food in famiglia. Hamburger, tramezzini, snack non fanno parte degli alimenti che di solito si consumano in casa mia. Mai. Ogni tanto qualche pizza, ma solo quando c’è qualcosa da festeggiare. Altrimenti, faccio tutto io.

Che tipo di cibo desidera di più quando scrive ed è preso dal suo lavoro? Salato o dolce?

Salato e anche amaro. Il dolce lo trovo nella passione che vivono i miei personaggi. Faccio fatica a farli soffrire, a far capitare loro avvenimenti dolorosi. Forse per questo, ho bisogno di cibi salati e amari per compensare? Cibi dolci solo quando sono in fase di blocco creativo. E ahimè, in quel caso, l’ago della bilancia si sposta vertiginosamente verso destra. Come ultimamente. Purtroppo.

Ha un aneddoto legato al cibo da raccontarci? O una cosa carina e particolare che le è accaduta?

Il Natale, in casa mia, iniziava a dare i suoi primi segni di arrivo il giorno dell’Immacolata, l’8 dicembre. In quel giorno, mia nonna, mia madre e mia zia trascorrevano l’intera giornata a fare i tortellini. Mia nonna impastava dozzine di uova e chili su chili di farina, tirava la sfoglia e poi, mia madre e mia zia arrotolavano i tortellini dopo aver riempito rettangolini di sfoglia del famoso ripieno, ricetta segreta che se n’è andata con la nonna. Infine, si lasciavano i tortellini ad asciugare per due settimane sul tavolo grande in sala da pranzo. Con l’arrivo del Natale, quello stesso tavolo veniva apparecchiato e si festeggiava quasi tutti i giorni, insieme, in allegria. Sono ricordi molto vividi e belli, che mi lasciano spesso un senso profondo di rimpianto e nostalgia.

Lei è uno scrittore di genere romance; quando esce a cena con i suoi figli, o amici che tipo di locale preferisce? E quando esce con suo marito? Oppure per festeggiare una pubblicazione? Cosa tende a ordinare in un locale?

Amo la cucina genuina, ma anche quella etnica. Sono molto curiosa, in qualunque paese italiano o straniero che sia, io amo sperimentare la cucina del luogo. Mi affascinano e amo molto gli agriturismo, dove tutto proviene dalla terra di quel luogo. In genere amo quel tipo di locale, qualunque sia l’occasione. O locali etnici, regionali, dove si possa mangiare genuino con un pizzico di originalità, qualcosa di differente da ciò che generalmente si mangia nel quotidiano. Quando esco a cena, e questo non tanto perché sia perennemente a dieta, ma proprio perché mi piace davvero ed è un cibo che apprezzo moltissimo, ordino sempre una tagliata di manzo con rucola e parmigiano. E verdure gratinate. Allora sono in pace con il mondo. Mi interessano molto piatti di pasta condita con salse particolari e originali. In realtà, quello che conta sul serio, quando sono fuori al ristorante, è il rilassarmi con amici o persone di famiglia con cui mi trovo a mio agio e il non dovermi preoccupare di apparecchiare e cucinare, ma soprattutto, cosa che odio in maniera feroce, il dover sparecchiare e riordinare la cucina dopo!

Nelle sue presentazioni offre un buffet? Pensa sia gradevole per gli ascoltatori intervenuti?

Tende a fare un aperitivo con due olive e patatine o a offrire quasi un pasto completo?

Non mi è mai capitato, fin’ora. Chi ha organizzato la presentazione ha provveduto al posto mio. Ma sì, penso che offrirei salatini e bevande. Dipende anche in quale contesto avviene la presentazione.

Ha mai usato il cibo in qualche storia?

Molto marginalmente.

Ad esempio in “Nient’altro che amare” ci sono passi che ricordano cibi o profumi di cibo?

In Nient’altro che amare c’è solo un riferimento a una zuppa di ceci, verso la fine del romanzo. Ma Maria a’ zannuta è una donna che vive di stenti, che deve lottare per sopravvivere e alimentare i suoi figli, cibo in casa sua ne appare per forza di cose molto poco. Negli altri che ancora non sono stati pubblicati, no, nessun riferimento.

Il cibo è mai protagonista?

Fin’ora no, non ho mai posto il cibo in primo piano in nessuna cosa che ho scritto.

“Nient’altro che amare” a che ricetta lo legherebbe, e perché?

Lo legherei a qualche zuppa di legumi particolare, tipo “fagioli e scarola”, un tipo di zuppa di fagioli che cucinava mia suocera e che mio marito mi ha insegnato a fare e ad apprezzare. I legumi sono un cibo “povero” ma nutriente, e adattissimo al contesto di povertà e stenti in cui vive il mio personaggio.

Per concludere ci potrebbe regalare una sua ricetta? Quella che le riesce meglio?

I miei figli, specialmente quello più piccolo, vogliono che non manchi mai in tavola la pasta con il ragù alla bolognese. Perciò durante il week-end ne cucino sempre un pentolone enorme che poi ripongo in piccoli scatolini e surgelo. E ai miei figli non piace il ragù cucinato da altri. Quello che faccio io, è insuperabile, dicono. Ecco a voi la mia “ricetta segreta”

RAGU’ ALLA BOLOGNESE VERSIONE AMNERIS

1 chilo di macinato misto manzo e suino

2 bottiglie di passata di pomodoro a crudo

½ bicchiere di vino bianco

1 dado da brodo di carne

1 cipolla

1 carota

2 costine di sedano

Olio Extra vergine di oliva q.b.

Sale q.b.



Tritare finemente cipolla, sedano e carota. Far rosolare nell’olio caldo. Mettere a far cuocere la carne tritata lasciandola insaporire degli “odori” (così sono chiamati a Bologna il composto tra “sedano, carota e cipolla”) fino a quando tutta la carne non si sia scurita e l’acqua asciugata. Aggiungere il vino e lasciar insaporire ancora un po’. Aggiungere il pomodoro con un po’ d’acqua. Lasciare cuocere a fuoco bassissimo per un minimo di un’ora, un massimo di due ore.

Quale complimento le piace di più come cuoco?

“Che bontà che è sempre il tuo ragù, mamma!”

E come scrittore?

“Appena ho iniziato a leggere, mi sono dimenticato all’istante che a scrivere questo romanzo sei stata tu”.

Che frase tratta dalla sua opera o dalla sua esperienza di scrittore possiamo portarci nel cuore uscendo dalla sua cucina?

“Di questo posto conosco ogni angolo, ogni ciuffo d’erba e sasso lanciato addosso. E se conosci la mano che ti schiaffeggia, ti pare sia più facile accettare la percossa, sicuramente è più facile schivarla.”

Grazie per la sua disponibilità

Grazie a Lei per l’intervista!



Nient’altro che amare, Edizioni Cento Autori, giugno 2012

Una storia di violenza a cui la protagonista, Maria, risponde senza rassegnazione ma con la caparbietà propria delle donne del Sud, lottando contro l’arretratezza sociale e culturale del contesto in cui vive, usando l’unica arma che ha a disposizione: l’amore. Amore verso i figli, avuti non importa da chi. PUÒ UN SOPRANNOME DATO PER CASO, PER SBADATAGGINE, CONDIZIONARE TUTTA UNA VITA?E’ quello che succede a Maria, chiamata da tutti in paese a’ zannuta (la dentona). A darle quel soprannome così ridicolo è stata la madre. Una madre che non l’ha mai amata, non l’ha mai difesa. Perché non è bella Maria. Ha i denti davanti irrimediabilmente sporgenti che le danno un’espressione da ciòta, da stupida. Non è ricca, non è elegante, non è colta. Per i suoi compaesani non è neanche una brava donna. Perché ha un corpo maledettamente sensuale. Che attira gli uomini e indispone le donne. Dà fastidio, Maria, agli abitanti del piccolo paesino sul mare dove vive, e la sua mansuetudine li porta a deriderla, umiliarla, emarginarla. Violentarla anche. Ma non è una donna che si piange addosso, à zannuta, tutt’altro: decide di non versare più una lacrima subito dopo la perdita lacerante del suo primo bambino, strappatole dal petto dal padre ubriacone per venderlo al suo violentatore. Maria non si arrende alla vita. Continua a crederci, a combattere, a vivere a dispetto della rabbia delle beghine, dell’odio delle malelingue, del disprezzo e del desiderio incattivito degli uomini che la vogliono possedere e umiliare. Eppure non ci riescono. Mai. Perché per Maria non ci sono alternative, non può fare nient’altro che questo: amare. Amare i figli che dalle violenze le nasceranno, amare gli uomini che la prenderanno con la forza o con disprezzo. Riscattando se stessa e una vita intera. E’ la storia di una donna capace di amare e perdonare, di darsi nella piena consapevolezza del proprio corpo, di agire con l’altruismo totale che solo un amore di madre rende possibile.
[Modificato da (Ipanema) 05/05/2013 21:42]
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Ginger Rogers eseguiva tutti i passi di Fred Astaire, ma all'indietro e sui tacchi a spillo.
Remember, Ginger Rogers did everything Fred Astaire did, but she did it backwards and on high heels
(Faith Whittlesey)