federca

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
kelia93
00giovedì 9 ottobre 2008 11:09
parte1.0
ecco un pezzo di un racconto.
è un fantasy. spero che anche chi non ama particolarmente questo genere possa essermi utile.
in questa parte ho cercato di far fare ai personaggi delle scelte che io non avrei mai fatto. l'unico problema è la lunghezza: mi sembra troppo corto!!
aspetto le vostre osservazioni...


PROLOGO
Quindici anni prima

Nessun suono, nessun rumore, nessun lamento giungeva nell’aria carica di pioggia dalla casa sul promontorio. Il nitrito dei cavalli era l’unico segno di una presenza umana in quel luogo desolato. Nemmeno gli abitanti della casa sembravano essere davvero lì; erano come degli essere fuori dal tempo e dallo spazio.
Nella buia pianura circostante vi erano ancora presenti i segni della precedente tempesta, ma nulla si muoveva, nulla osava interrompere quel clima di apparente tranquillità. Solo il vento portava un po’ di scompiglio in quel surreale paesaggio.
L’unica fonte di luce proveniva da una finestra di una stanza al secondo piano della casa, al cui interno svariate figure si alternavano per tenere accesa una lampada a olio, creando sinistre figure sul terreno sottostante. La stanza conteneva a stento un letto, un armadio e un mobile da cui la nutrice aveva appena preso un paio di forbici.
Alcuni istanti dopo dei vagiti e delle urla strazianti riempirono la stanza e l’intera casa. La piccola creatura venne affidata ad una ragazza, mentre la nutrice e la domestica si occupavano della madre.

Nel salotto al piano di sotto, un uomo misurava a grandi passi, in preda ad una spasmodica tensione, l’intero perimetro della stanza. Quando i vagiti di un neonato e le urla di una donna irruppero nel silenzio della casa, parve riacquistare la lucidità, ma la sua espressione sgomenta tradiva un dolore ancora più grande. Si tolse il cappotto, d’altro canto doveva pur fingere di averla a cuore e, presentandosi pronto per la partenza, non avrebbe ingannato nemmeno un bambino.
Sentendo i passi di Alphred sulle scale si precipitò nell’atrio. Aveva in braccio un fagottino di coperte che mantenevano al caldo una piccola creatura rosea.
«E’ una femmina, signore!»
«Mia moglie…come sta?»
Il viso di Alphred si contrasse in un’espressione mista a dolore e odio verso se stesso.
«Lei…lei…lei non ce l’ha fatta. Sono desolato, signore. Se avessi potuto io…io…»
«Non avresti potuto fare niente per aiutarla. Anche io non potevo nulla, Alphred. Anche io…»
Le lacrime cominciarono a scorrere copiose sul volto dell’uomo e Alphred gli si avvicinò.
«Alphred perché mi è stato dato questo immenso potere se non ho potuto nemmeno salvare la donna che amavo? Perché Alphred? Ora nulla ha più un senso per me.»
«Signore non dica questo. Ora ha sua figlia e…»
«No! Non intendo occuparmi di quella bambina. E’ per causa sua se mia moglie se n’è andata e io non voglio prendermi cura di lei.»
Alphred era rimasto attonito e inorridito da quell’osservazione. Non immaginava che il suo padrone potesse dire una blasfemia del genere. Sapeva quanto amava sua moglie, ma non pensava minimamente che la sua perdita avesse scatenato un odio tanto forte verso sua figlia.
«Signore…»
«Si, Alphred?»
«Cosa intende fare?»
«Con cosa?»
«Con la bambina, signore. Con vostra figlia.»
«Quella bambina è tutto tranne che mia figlia e, come ti ho detto, non intendo occuparmene.»
«Ma signore, con tutto il rispetto, lei non può dire un’assurdità del genere! Sua moglie non…»
«Mia moglie è morta Alphred, ed io non intendo occuparmi di quella sporca bambina.»
Il viso di Alphred divenne cereo. Non poteva credere a quelle parole. Nemmeno l’essere più crudele al mondo avrebbe potuto esprimere un tale odio verso quella creatura, la cui unica colpa era di essere nata in sostituzione di una vita.
«Signore cosa vuole che le dica? Quando sarà grande. Quando mi chiederà di suo padre.»
«Sono sicuro che ti inventerai qualcosa. Per quanto mi riguarda, dovrai solo darle questa lettera nel caso lei abbia…»
«Ho capito. E se non dovesse averlo?»
«Brucia la lettera. Se non lo possiede, non dovrà mai saperne nulla.»
«Nulla della sua storia? Dei suoi antenati?»
«No. Più è allo scuro, più sarà salva. In fondo lo devo a Yasi.»
Più Alphred lo guardava, più si rendeva conto che dentro al suo padrone qualcosa si era irrimediabilmente spezzato e nulla l’avrebbe potuto rimpiazzare.
La lettera era frusta e spiegazzata, sintomo che era stata più volte aperta, magari sperando che nessuno dovesse mai leggerla. Il destino purtroppo aveva deciso diversamente.
«Alphred, ripartirò tra poco e non so se tornerò più.»
«Così ha deciso. Spero abbia fatto la scelta giusta.»
«Lo spero anche io, Alphred.»
Il caminetto, acceso all’ingresso del padrone, era ormai spento e la legna, ridotta a brace, emanava un tepore sufficiente a riscaldare l’aria umida. La bambina si era addormentata poco dopo l’arrivo nel salotto di Alphred.
Il padre la guardava cercando chissà cosa, ma nulla gli faceva vedere in quella bambina una minima traccia della sua Yasi. L’unica cosa che riteneva giusta era andarsene e dimenticare tutto ciò che la riguardava.

L’alba del nuovo giorno era quasi nata, ma all’esterno il gelo primaverile sorprendeva ancora i campi e le colture nonostante mancassero poco più di due mesi all’estate. I cavalli legati alla staccionata fremevano all’avvicinarsi del padrone. Tutto era pronto per la partenza.
Alphred rimase immobile sulla porta, ancora incredulo. A stento riconosceva, in quella decisione, il suo padrone. Lui che l’aveva visto nascere, crescere e diventare un uomo non credeva possibile ciò che i suoi occhi gli mostravano.
«Addio Alphred! – gli grido dall’imbocco della strada – Abbi cura di lei.»
«Sarà fatto, padron Edward!»
Il nome del suo padrone sembrò quasi un sussurro al confronto al grido dei cavalli spronati al galoppo. Alphred sapeva che per il resto della sua vita non l’avrebbe più rivisto. L’unica cosa che d’ora in avanti avrebbe dovuto fare era occuparsi della bambina, sperando che un giorno avrebbe potuto conoscere anche lei la verità.
All’interno della casa nessuno riusciva a star fermo. Lì doveva crescere una nuova vita e tutto doveva essere adatto a lei. Persino Alphred non riusciva a stare con le mani in mano, doveva assolutamente fare qualcosa. L’intero edificio sembravo scosso sin dalle fondamenta da una trascinante frenesia. Ognuno doveva fare la sua parte, pur piccola che sia, per non far sentire una mancanza a quella creatura che aveva portato una ventata di fresco e nuovo in quella casa. E anche per gli anni a venire, Alphred si sarebbe messo d’impegno per rendere felice l’unica persona che gli era rimasta.
Renata M
00giovedì 9 ottobre 2008 11:46
Se me lo permetti, comincio dal prologo:

PROLOGO
Quindici anni prima

Meglio dire: Quindici anni or sono, altrimenti leggendo quel "prima" al lettore vien da chiedersi "prima di che cosa?"

Nessun suono, nessun rumore, nessun lamento giungeva nell’aria carica di pioggia dalla casa sul promontorio. Il nitrito dei cavalli era l’unico segno di una presenza umana in quel luogo desolato.

Cavalli presenza umana?

Nemmeno gli abitanti della casa sembravano essere davvero lì; erano come degli essere fuori dal tempo e dallo spazio.

Poco prima dici "nessun suono nessun rumore nessun lamento" dando ad intendere una casa vuota, perché non dai un beneficio di dubbio, lo affermi. Poi, però, parli dei suoi abitanti, dando per scontato ve ne siano.

Nella buia pianura circostante vi erano ancora presenti i segni della precedente tempesta, ma nulla si muoveva, nulla osava interrompere quel clima di apparente tranquillità. Solo il vento portava un po’ di scompiglio in quel surreale paesaggio.

"Nulla si muoveva", e appena dopo "solo il vento", o non si muove nulla o c'è vento. Non cominciare mai una frase con la congiunzione sostituiva e/o avversativa "ma".

L’unica fonte di luce proveniva da una finestra di una stanza al secondo piano della casa, al cui interno svariate figure si alternavano per tenere accesa una lampada a olio, creando sinistre figure sul terreno sottostante. La stanza conteneva a stento un letto, un armadio e un mobile da cui la nutrice aveva appena preso un paio di forbici.

In una casa deserta, appaiono delle figure (attenta alla ripetizione) ed una nutrice. Da dove sbuca costei?

Alcuni istanti dopo dei vagiti e delle urla strazianti riempirono la stanza e l’intera casa. La piccola creatura venne affidata ad una ragazza, mentre la nutrice e la domestica si occupavano della madre.


E in più appaiono come d'incanto una neonata, una ragazza, una domestica e una madre. Un po' affollata per essere una casa deserta.
Stai attenta sempre alla coerenza, e tecnica e stilistica, altrimenti rischi il paciugo. Se ti va appena posso proseguo nel commento. Fin d'ora plaudo senz'altro all'entusiasmo dei tuoi magnifici 15 anni, e alla voglia di impiegarli nello scrivere, quindi se pensi di averne bisongo, hai tutto il mio sostegno.


Renata :-)
agrimensore g
00lunedì 13 ottobre 2008 16:06
A me piace questa atmosfera, soprattutto quella creata dai dialoghi. Magari toglierei qua e là qualche frasetta di troppo. Qualche esempio:
"Il nitrito dei cavalli era l’unico segno di una presenza umana in quel luogo desolato." - cancellerei in quel luogo desolato, mi sembra un po' ridondante
"in preda ad una spasmodica tensione," - da cancellare, si capisce dalla descrizione dell'azione
"La lettera era frusta e spiegazzata, sintomo che era stata più volte aperta" cancellerei da sintomo in poi, il lettore ci può arrivare da solo.
Anche l'anafora iniziale mi sembra un po' pesante ma è un mio gusto.
Rivedrei anche un po' di metafore un po' logore e talvolta poco fluide (es.: "L’alba del nuovo giorno era quasi nata").
Aspetto di leggere qualche altro pezzo!
(ma non prendermi sul serio sono un assoluto dilettante...)
crisaliderosa
00lunedì 13 ottobre 2008 17:14
Piace anche a me l'atmosfera che riesci a far respirare. Certo vi sono alcune cose da sistemare, come ha già provveduto a sottolinearti Renata, anche se io lascerei Quindici anni prima che poi significa prima di adesso, non a caso questo è un prologo, anzi potresti non mettere nulla e quando inizi a scrivere la storia vera e propria la titoli Quindici anni dopo.
Da fare dei tagli qua e là perché secondo me ci sono delle frasi inutili tipo:
Nemmeno gli abitanti della casa sembravano essere davvero lì; erano come degli essere fuori dal tempo e dallo spazio.
Non vuol dir nulla, è solo una frase ad effetto, poi gli abitanti della casa non li hai ancora nominati e quindi lascia che arrivino da soli fra un po'.
Infatti poi scrivi
L’unica fonte di luce proveniva da una (dalla) finestra di una stanza al secondo piano della casa, al cui interno svariate figure si alternavano per tenere accesa una lampada a olio, creando sinistre figure sul terreno sottostante. La stanza conteneva a stento un letto, un armadio e un mobile da cui la nutrice aveva appena preso un paio di forbici.
Alcuni istanti dopo dei vagiti e delle urla strazianti riempirono la stanza e l’intera casa. La piccola creatura venne affidata ad una ragazza, mentre la nutrice e la domestica si occupavano della madre.

Questa descrizione è molto efficace e mi piace molto.

Senti Federica, non vado oltre. Per avere quindici anni sei proprio brava e non puoi che migliorare [SM=g20545] [SM=g20545] continuando a scrivere e naturalmente a leggere.
Un'ultima cosa. Come prologo non mi sembra sia troppo breve, va bene così. Ora facci leggere il resto. [SM=g20538]

Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 11:34.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com