Ok, ma ora la mia domanda diventa:
Si può davvero pensare di fare gli scrittori in Italia e pensare di vivere solo con quello?
In Italia (non ho idea di come sia altrove) penso non si sopravviva con nessuna attività artistica, a meno che non sia o terribilmente commerciale o decisamente eccelsa (ma mi vengono in mente solo nomi di gente attempata).
E non vale solo per la scrittura, per quel che ne so io.
Che poi, romanticismo per romanticismo (la visione dello scrittore "maledetto" alla Miller o Bukowski e non solo, dello scrittore per rabbia contro il mondo che affida alla letteratura e non alla "cultura" - quella capace di cambiare le cose, ma con gran lentezza, come è fisiologico, secondo me, che sia - il potere di parola, è una visione molto romantica, penso),dicevo, romanticismo per romanticismo: una persona che decide di dedicare le sue energie all'arte, non si dice scrittore o pittore o musicista solo se ne fa la sua unica professione. Per intenderci, può essere scrittore anche chi per mangiare fa l'operatore ecologico (che suona più professionale e meno romantico dello "spazzino"...ennesimo esempio di quanto sia facile spacciare per cultura ciò che è altro...) o no?
Io non credo che debba andare nella stessa maniera per tutti, forse non è necessario smettere di lavorare per essere liberi (di essere scrittori e non solo).