Scrittori, mediatori di visioni?

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(Ipanema)
00martedì 20 dicembre 2005 09:13
"Noi scrittori in fondo, siamo mediatori di visioni, agenti di fantasia. Ma non dobbiamo perdere mai la dimensione morale, etica della letteratura. Un bel libro privo di grandi domande, privo dell'orizzonte del delitto e del castigo, resta solo un bel libro, buono per essere scordato il giorno dopo. Gli scrittori hanno rinunciato al giudizio, non sanno più dire cos'è bene cos'è male, sono intrappolati nella psicologia che tutto spiega, giustifica, annacqua ogni cosa" Abraham B. Yeoshua in un intervista rilasciata a Fiona Diwan per Flair
newat49
00martedì 20 dicembre 2005 13:38
Questione interessante.
Io non concordo con una missione morale del mestiere di scrittore, nel senso che non mi piace e non mi interessa assolutamente la narrativa che mi dica quello che va bene e quello che va male nel mondo, chi sono i buoni e i cattivi.
Questa è opera degna e necessaria, ma va lasciata ad altri, esulta dall'ambito della produzione narrativa.
Il narratore si fa giustamente tramite della realtà che vive, e come tale intepreta, filtra, propone, suggerisce, pone domande più che dare risposte.
Non propone un giudizio, però, non pretende di portare risposte alla soluzione dei problemi e nemmeno condanna.
La ricchezza della narrativa sta proprio nel saper uscire dal bisogno di dover dire cosa è bene e cosa è male, e ha il coraggio di portare alla luce la contraddizione della realtà e quell'intrico di falso/vero, bello/brutto, buono/cattivo che c'è in ogni storia, anche nelle più semplici.
esteriade
00mercoledì 21 dicembre 2005 19:10
Sono assolutamente d'acordo con Fabio. in tutto e per tutto.

oltretutto, non so mica se e fino a che punto condivido il ruolo di "mediazione" di visioni.
io credo che chi scrive usi la scrittura come strumento "mediatico", ma essere scrittori non è solo scrivere.
Tatychan
00giovedì 25 dicembre 2008 22:14
Credo che uno scrittore sia prima di tutto un mediatore di realtà personali. Portiamo quello che siamo e conosciamo, credo senza l'intento primo di fornire limiti etici o strumenti di giudizio morale.Ciò che restituisce valore alla parola scritta è,a mio avviso, la riconoscibilità, che avvertiamo alla prima lettura, come un istinto che ci guida,dove si sospende il giudizio. La valutazione più profonda può certo condurre alla scoperta di altri volti dello stesso scritto. Ma sarà sempre un poi, una conseguenza, mai il motore che spinge alla scrittura. Sono convinta che scrivere rapprensenti prima di tutto un bisogno irrinunciabile di dire.A volte, non importa cosa.
kikivalentine
00venerdì 26 dicembre 2008 12:32
Io concordo, ma in parte.

Penso anche io che un libro che non si ponga questioni morali (lotta bene e male, giustizia-ingiustizia, ecc) lasci poco segno nella mente dei singoli lettori.
Perchè è vero che la narrativa è prima di tutto evasione, ma deve anche "portare da qualche parte", far confrontare il lettore con problemi e questioni di vario tipo.

la bravura di uno scrittore sta, per me, nel fare questo SENZA emettere giudizi assoluti (e qui concordo con Fabio).

deve porre domande, dare una soluzione ma non presnetarndola come l'unica possibile, ma come una delle tante in cui il lettore possa riconosersi o meno e trarre lui stesso le sue impressioni e conclusioni personali.

se pensate alle opere letterarie che hanno fatto la storia, vi accorgerete che tutte si sono poste dei dilemmi etici o morali, o almeno hanno condotto il lettore a confrobtarsi e riflettere con questi temi.
Tatychan
00venerdì 26 dicembre 2008 18:28
Con la mia breve analisi mi riferivo sostanzialmente al mondo della narrativa, anche se è questo è talmente variegato e con tali differenze di contenuti e proposte, che difficilmente si può esprimere un giudizio che valga per tutti. Vi sono autori che non hanno certamente lo scopo unico di raccontare o intrattenere, altri che chiaramente assumono questo a unico ed evidente motore del loro scrivere. Intendo dire che tra la narrativa di Danielle Steell e quella di Doris Lessing la differenza è evidente: anche per quanto riguarda gli scopi narrativi, la posizione dell'autore rispetto ai contenuti.Dunque dipende anche da cosa si racconta e da come lo si fa. Rimane ferma, a mio avviso, per ogni tipo di libro, l'imprescindibile necessità di catturare il lettore, di portarlo con se' nelle pieghe del racconto, dandogli uno stimolo a riflettere.
crisaliderosa
00sabato 27 dicembre 2008 11:51
Re:
Tatychan, 26/12/2008 18.28:

Con la mia breve analisi mi riferivo sostanzialmente al mondo della narrativa, anche se è questo è talmente variegato e con tali differenze di contenuti e proposte, che difficilmente si può esprimere un giudizio che valga per tutti. Vi sono autori che non hanno certamente lo scopo unico di raccontare o intrattenere, altri che chiaramente assumono questo a unico ed evidente motore del loro scrivere. Intendo dire che tra la narrativa di Danielle Steell e quella di Doris Lessing la differenza è evidente: anche per quanto riguarda gli scopi narrativi, la posizione dell'autore rispetto ai contenuti.Dunque dipende anche da cosa si racconta e da come lo si fa. Rimane ferma, a mio avviso, per ogni tipo di libro, l'imprescindibile necessità di catturare il lettore, di portarlo con se' nelle pieghe del racconto, dandogli uno stimolo a riflettere.



Quando si scrive non si può prescindere dal trasmettere un messaggio ed ognuno esprime attraverso le sue storie, il suo vissuto e, giocoforza, il suo pensare. Secondo me è impossibile fare altrimenti se non nei casi in cui la casa editrice ti chiede espressamente qualcosa per soddisfare questo o quel target di persone, ma non è il nostro caso. Non ritengo che scrivere sia una missione in assoluto anche perché per prima cosa soddisfa chi lo fa e allora c'è posto per tutti, per chi vuole farsi paladino di un'idea, per chi vuole raccontare solo delle belle storie, per chi si diverte a giocare con le parole. Se così non fosse il mondo letterario non sarebbe così variegato e io avrei una libreria piena di manuali e di prove di scrittura. La Steell e la Lessing sono differenti è vero, ma non dobbiamo dimenticare che i lettori non sono tutti allo stesso livello e dunque lasciamo intatta questa forma di democrazia letteraria che permette a chiunque un invito di riflessione.


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