SUL LEGGERE - da Vibrisse Bollettino di Giulio Mozzi

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(Ipanema)
00sabato 14 gennaio 2006 10:46
www.vibrissebollettino.net/archives/sul_leggere/index.html

inserisco qui anche questo link sul leggere, sempre tratto da Vibrisse Bollettino di Giulio Mozzi.

Con calma mi ripropongo di andarmi a leggere tutte le loro opinioni e di discuterne. Così non perdo il link...
(Ipanema)
00giovedì 16 marzo 2006 12:30
Da Nazione Indiana - Intervista a Giovanni Sartori


GS: Per scrivere i miei testi non parto da delle tesi preconcette. E anche quando per preparare un testo leggo e studio molto o anche moltissimo – come è successo per Anatomia nella battaglia - nella scrittura il mio approccio resta intuitivo.
Quello che mi attira nella scrittura è proprio il poter utilizzare dei modi di abbordare la realtà non strettamente cerebrali, il fatto di poter arrivare a esprimermi con degli strumenti che sento come profondamente miei, che condensano il mio modo di essere e le mie conoscenze. In questo caso sono partito dalla figura di un vecchio che era stato fascista, e che ha continuato anche dopo la fine del fascismo a definirsi tale, ispirata per molti versi a mio padre. Ma poi nel testo, nella scrittura del testo, è spuntato fuori anche un figlio, un figlio schierato a sinistra, e sono venuti fuori gli anni ’70, e il terrorismo, e la fragilità della condizione attuale contrapposta alla sicumera del ventennio fascista, e la rete di legami tra tutti questi elementi. Nel testo finale è effettivamente presente un dualismo tra il padre e il figlio, dove il padre rappresenta la forza e il figlio la fragilità, e questa contrapposizione è tutt’altro che casuale. Ma per certi versi è vero anche il contrario, per molti aspetti la debolezza del figlio è una grande forza e la forza del padre è una irredimibile fragilità. Il figlio, benché fallito, è sicuramente più maturo del padre. E comunque le varie contrapposizioni sono un punto di arrivo, con tutto il margine di incertezza legato a qualsiasi processo di ricerca di verità, per definizione vano, non un punto di partenza.

SR: Il suo romanzo può essere letto come una critica bipartisan alle esperienze del fascismo e dell’estrema sinistra? Intese entrambe come etica e non come pura ideologia?

GS: Assolutamente no. Credo che un romanzo – un buon romanzo – non possa e non deva dare delle risposte semplici di questo tipo. Sia il fascismo che il terrorismo degli anni 70-80 sono dei fenomeni estremamente complessi, e per quanto mi riguarda ritengo che ogni semplificazione e ogni superficiale confronto siano da evitare. E poi è compito degli storici cercare di semplificare e di trovare i minimi comuni denominatori. I romanzieri colgono invece l’estrema complessità e la contraddittorietà del reale, lavorano anche su quanto nella coscienza comune – o anche addirittura nella ricerca storica - è ancora rimosso. Certo un testo letterario può suggerire delle piste, ma sono solo appunto delle ipotesi, delle intuizioni. Nel mio testo non c’è una sola tesi, ce ne sono molte, c’è una maglia di tesi che si eludono e si contraddicono a vicenda. E non solo storiche, ma anche psicologiche e psicanalitiche. Resta il fatto che i legami tra terrorismo degli anni 70 e gli anni della resistenza, tra una riattivazione di una logica della violenza negli anni 70 e il modo in cui l’Italia è uscita dal fascismo, senza mai fare veramente i conti con esso, tra il non fare i conti con il passato e invece in un certo senso riviverlo, mi sembrano innegabili. Il vero problema mi sembra la rimozione che tuttora fanno gli italiani del fascismo, e delle pesanti eredità di esso che esso ha lasciato e forse lascia tuttora. Nel mio testo questa rimozione non c’è, il che mi permette di muovermi più liberamente. Questo non vuol dire però che ponga fascismo e terrorismo di matrice comunista, anche se entrambi utilizzano la violenza, e quindi almeno questo in comune l’hanno, sullo stesso piano.




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