Rosa Matteucci - Lourdes

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esteriade
00domenica 4 febbraio 2007 18:32
E' un libro che non avrei scelto in libreria [SM=g27828] , ma gli amici servono anche a questo, no?
Regalo di compleanno. Quando l'ho avuto in mano mi sono chiesta se chi me l'avesse regalato non stesse affidando a quel libro un messaggio subliminale. Pare di no [SM=g27828]
In compenso ha la mia gratitudine.

E' un libro che a partire dalla storia, non particolarmente intrigante in sé per sé, porta a compiere un percorso attraverso i passi della protagonista, tra descrizioni puntualissime (che all'inizio mi sono sembrate eccessive), un linguaggio apparentemente semplice (altro che Carver e il minimalismo), una ottima ironia, e una ricca carellata di personaggi, molto ben tratteggiati (anche se brevemente) e tutti con un senso che spinge ad andare oltre, sia nel senso di proseguire la lettura, sia nell'accompagnare Maria alla sua meta.

Se avessi letto i margini di copertina avrei saputo subito come sarebbe finita la storia, ma non l'ho fatto (perché l'incipit mi ha catturata) ed è stato ancor meglio.

Mi ha fatto fare profondi sorrisi, diverse risate, sane riflessioni sulla scrittura e sulla lettura, e... m'è piaciuto.

Ho visto che con questo libro la Matteucci ha esordito (esordio con l'Adelphi?! [SM=g27811] ), ma ne ha scritti diversi altri da Lourdes a oggi. Ne cercherò qualcun altro.

L'ultimo suo romanzo si intitola "Libera la Karenina che è in te", e non nascondo che già solo per il titolo mi stuzzica.




dal sito di IBS:
recensione di Bo, R., L'Indice 1998, n.11

Nell'infinita varietà di modi con cui questo secolo al tramonto tenta, citando Hillman, di "fare anima", trova una sua collocazione anche il romanzo di Rosa Matteucci, un'esordiente di lusso (in virtù del prestigio della casa editrice che la tiene a battesimo), nonché trentasettenne orvietana di nobili natali, con una passione per l'India, le scimmie e la scrittura di Anna Maria Ortese.
"Lourdes" si configura come la rielaborazione fantastica e letteraria di un lutto privato: il padre di Rosa non sopravvive a un incidente d'auto le cui conseguenze sono sottovalutate dai medici. Così come l'autrice, anche la protagonista Maria Angulema (cognome di ascendenza balzachiana, dalla becera duchessa di Angoulème delle "Illusioni perdute") parte alla volta del più grande santuario della cattolicità per chiedere personalmente conto di questa morte probabilmente evitabile. Fin qui il movente: per il resto, i numerosi riferimenti autobiografici si stemperano con efficacia nell'intreccio della vicenda che, più che narrare eventi eclatanti (lo sfondo è quello consueto di uno dei tanti pellegrinaggi a Lourdes, inclusivo di Treno Bianco, denuncia degli aspetti consumistici del culto e un numero imprecisato di messe, processioni e fiaccolate), disegna una straniante galleria di ritratti umani, che sembrano appena sbarcati dalla "stultifera navis" di un Bosch particolarmente visionario. La decaduta marchesina Maria, nel suo improbabile ruolo di assistente volontaria dei malati in viaggio, tanto sprovveduta da non riuscire neppure a indossare correttamente l'uniforme in dotazione alle dame di carità, viene così a contatto con una serie di personaggi i cui tratti somatici o caratteriali sono in vario modo ripugnanti, distorti, devianti (anche da un punto di vista linguistico: si esprimono in un misto di italiano e dialetto che segna fortemente il libro, sottolineando la continua ricerca di effetti comico-realistici) rispetto a un'astratta e generica normalità che coincide astrattamente con la salute, in un crescendo di elementi narrativi non lontani da ascendenze "pulp" e "trash", ma anche dalle suggestioni di qualche testo di mistica medievale.
Circondata da queste presenze mostruose e anche da qualche raro angelo (il bellissimo, e non casualmente muto, barelliere Gonzalo Gomez y Morena; ma nemmeno di Maria si danno mai enunciati in forma di discorso diretto), la protagonista viene sottoposta a una serie di prove, in una sorta di fallimentare "imitatio Christi" che ottiene il duplice scopo di rafforzarla nella convinzione della sua assoluta inadeguatezza nei confronti del mondo e di procrastinare, in un ripetersi ciclico che minaccia persino di non riuscire a risolversi entro la fine del viaggio, il suo incontro con l'abitatrice della grotta di Massabielle di cui porta anche il nome. Il lettore attende con una certa impazienza che per Maria giunga il momento di "calare" il fantomatico asso di cui va farneticando da un pezzo la Samantha "col tiacca": ma certo a fatica immagina di dover fare i conti con un'illuminazione in piena regola, con tanto di luci e Vampe d'Amore, che si realizza nientemeno che nelle Piscine, luogo specialmente deputato ai miracoli e alle visitazioni.
Certo questa visione conclusiva induce qualche perplessità, per il fatto che la tentazione di prestarvi completamente fede, trasformando così il breve romanzo in una sorta di tragicomico vademecum New Age, o Next Age che dir si voglia, ad uso dei pellegrini del prossimo millennio, è davvero forte; ancor più se consideriamo che in una recente intervista l'autrice definisce "Lourdes" come la "metafora di un'iniziazione". Dobbiamo in questo caso convincerci che siamo all'ultima messa in scena dell'eterno conflitto tra essere e apparire, inferno e paradiso, cinismo e compassione: il consueto un po' enfatico intrecciarsi della vita, reso più lieve da un'indiscutibile "vis comica" e da un uso smaliziato e piuttosto convincente degli artifici del plurilinguismo e della polifonia.
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