Da it.cultura.linguistica.italiano.it:
L'uso della d eufonica: ad, ed, od.
Su it.cultura.linguistica.italiano Fabio chiede quale sia il nostro comportamento di fronte alle
...forme eufoniche di e, a e o ...
Punto primo. Una lunghissima citazione dal Satta, p. 461:
Due congiunzioni, e, o, e una preposizione, a, consentono l'aggiunta di una d per legarsi meglio alla parola che le segue e che comincia con vocale. Ma è sempre necessario scrivere ed, od, ad? Ripetiamo un consiglio: usare la d quando la vocale iniziale della parola seguente è la stessa: ad andare, ed Europa, od obbligare; non usarla quando la vocale iniziale della parola seguente è diversa: a esempio, e io, o anche; non usarla nemmeno quando, pur essendo la vocale iniziale della parola seguente la stessa, vi sia nei dintorni un'altra d a dar noia all'orecchio: a Adamo, e educato, o odore.
Un consiglio, sia ben chiaro, e non una regola, e nemmeno una regoletta; tanto più che è difficile fare le regolette contro l'uso di un certo Manzoni. Al quale piaceva abolire la d anche davanti a vocale uguale: a accudire, a andare, e esclamò, a aiutarvi.
La verità è che questa consonante detta eufonica appunto per il compito di dare un buon suono alla lettura non ha altra norma che quella dell'orecchio, e in simili sottigliezze l'orecchio può talvolta rimanere indifferente. Addirittura accade che uno scrittore il quale per un pezzo ha avversato la d eufonica cominci a usarla. Giovanni Arpino, per esempio. Prendete 'Un delitto d'onore' (1961), e vi leggerete a Atripalda, a avanzare, a ascoltarlo, a aiutarla, a avvicinarla, a accarezzarla, a aspettarla, a annuire, a Avellino. Poi prendete 'Una nuvola d'ira' (1962) e vi leggerete ad accennare, ad Angelo, ad andare, ad accontentarsi. (*)
Sicché è difficile trovare lo scrittore fermo e coerente in un senso o nell'altro. Abbiamo cercato di racimolare un elenco di avversatori e uno di fautori della d eufonica; pare che ne facciano volentieri a meno Mario Tobino, Cesare Pavese, Romano Bilenchi, Giovanni Comisso, Arrigo Benedetti, Carlo Laurenzi, Libero Bigiaretti, Tommaso Landolfi (ma si fa presto a dirlo: questi scrive ad adorare), Indro Montanelli e il già detto Arpino. Con una certa frequenza si trova invece nella prosa di Alberto Moravia, Giuseppe Berto, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Leonardo Sciascia, Italo Calvino, Vasco Pratolini, Carlo Cassola, Paolo Monelli, Raffaele La Capria.
Mah, convenzione editoriale parrebbe, ma scopro su internet che Bruno Migliorini ha semplificato la regola visto l'abolizione da parte di molti scrittori a partire dagli anni 40 e 50.
In effetti, il problema che mi pongo è un altro: fermo restando che abolire le d eufoniche rende il testo più pulito e più fluido, perché non renderla "regola grammaticale" a tutti gli effetti e insegnarla assolutamente a scuola, a partire dalle elementari?
L'italiano è una lingua viva, quindi non statica, per cui cambiare le regole o uniformarle all'uso corrente sarebbe più che giustificato.
Non mi pongo un problema di scrittura/editoria/pubblicazione, ma linguistico.
qui ne avevo già parlato, qualche commento lo avevo anche ricevuto...
[Modificato da (Ipanema) 21/02/2007 9.03]