Aldo Nove - Mi chiamo Roberta, ho 40 anni e guadagno 250 euro al mese

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nutella bric
00mercoledì 21 febbraio 2007 17:58
Nel gennaio del 1974, nell'ambiente teatrale di Broadway, si sparge la voce dell'incontro realizzato dal regista coreografo Michael Bennet con una ventina di ballerini professionisti: non si tratta di un'audizione, ma di un ritrovo informale in cui Bennet invita i partecipanti a raccontare le loro esperienze riguardo ai vari provini sostenuti, ricordi e aneddoti, sogni e speranze, successi e delusioni. I metri e metri di pellicola registrati durante l'incontro daranno vita a "A chorus Line", musical che, all'epoca, ha polverizzato ogni record di gradimento e permanenza in scena, diventando nel 1985 anche un film di grandissimo successo.
Ora immaginate Aldo Nove seduto nella semioscurità di un teatro, un filo di fumo che si alza sinuoso.
Solo che in scena, davanti a lui, non c'è la biondina tutta curve che miagola "Mi sono rifatta tette&culo e adesso mi scritturano ovunque" o la portoricana grintosa che è riuscita a diventare un'attrice nonostante un insegnante l'avesse scoraggiata, o la romantica ragazzina che con voce sognante intona "Everything is beautiful at the ballet..."
Di fronte a Nove c'è solo la disperazione dei "gypsies", quella manovalanza artistica di ballerini di fila, comparse e coristi sballottati da un teatro all'altro, che con voce strozzata dall'angoscia di un eterno precariato (notate l'ossimoro, perché il dramma è TUTTO LI'!!!) implorano "I hope I get it!", poi magari si spezzano un tendine alla prima pirouette e per i resto della vita non "get it" proprio un cacchio, se non il ricordo dei piedi sanguinanti e deformati da anni di danza classica.
Patetico? Melodrammatico? Ci attacchiamo alle tende? No, non ancora, perché il bello, deve ancora venire.
Davanti a Nove, dicevo, non ci sono aspiranti cantanti, attori o ballerini.
Ci sono un pastore sardo, un'insegnante, una grafica pubblicitaria, due operai... 'zzo ci fanno in un teatro alle undici di mattina? Andassero a lavorare!
Ci andrebbero loro. Peccato che il lavoro non ci sia e se c'è può durare pochi mesi, o solo una settimana, che potrebbe venire pagata, o anche no, perché a volte sono LORO che devono pagare per poter dire: "Ho un lavoro. Oggi. Domani non so."
Sì, ma che c'entra il teatro?
Be', da queste parti per dire che il mondo è pieno di gente che si crede normale ma non lo è, si dice che "Manicomio xe scrito par fora".
La stessa regola vale per il teatro: le recite, le finzioni, le capriole e i salti mortali, non si fanno più solo sul palcoscenico: basta osservare la gente comune alla cassa di un supermercato o a un colloquio di lavoro, appunto.
E i giochi di prestigio, i Sim-Sala-Bim? Hanno traslocato anche quelli: si sono insediati in qualche comodo attico tra una riforma ministeriale e un co co co oggi, che rimane sempre meglio di una gallina domani. Tanto, i polli da spennare, ormai si sa dove sono finiti: nelle banche dati delle agenzie interinali.



L'ho scritta parecchi mesi fa
E' un po' "de panza", ma non credo che adesso la scriverei in un modo tanto diverso.
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