Grazia Deledda

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nutella bric
00lunedì 17 dicembre 2007 10:10

Grazia Deledda

Nacque a Nuoro, in una famiglia agiata. Frequentò solo le scuole elementari perché ai suoi tempi la mentalità non era cambiata poi molto da quando Daniel Defoe scriveva che istruire una donna ha senso quanto istruire il proprio cavallo (o altro animale domestico che in questo momento non ricordo, ma se avete voglia di cimentarvi con quel mattone di Moll Flanders, lo scoprirete da soli). Per sua fortuna venne poi seguita da un insegnante privato. Per suo merito, proseguì gli studi letterari anche da autodidatta (vuol dire che anche per me potrebbe esserci qualche speranza di vincere il Nobel?).
Esordì come scrittrice con alcuni racconti pubblicati sulla rivista "L'ultima moda" (vuol dire che anche per me potrebbe esserci qualche speranza di vincere il Nobel!!!) e collaborò con le riviste "La Sardegna", "Piccola rivista" e "Nuova Antologia" ottenendo l'attenzione e la stima della critica e di illustri colleghi tra cui Giovanni Verga (no, per me non c'è nessuna possibilità di vincere il Nobel).
Tradusse dal francese Eugénie Grandet di Balzac.

A proposito della sua poetica, wikipedia scrive: "La narrativa della Deledda si basa su forti vicende d'amore, di dolore e di morte sulle quali aleggia il senso del peccato, della colpa, e la coscienza di una inevitabile fatalità. È stata ipotizzata un'influenza del verismo di Giovanni Verga ma, a volte, anche quella del decadentismo di Gabriele D'Annunzio, oltre che di Lev Nikolaevič Tolstoj. Nei romanzi della Deledda vi è sempre un forte connubio tra i luoghi e le persone, tra gli stati d'animo e il paesaggio."

Se qualcuno non si fidasse del Sig. Wikipedia, ecco l'inizio del secondo capitolo di Canne al vento:
" Lo stradone, fino al paese era in salita ed egli camminava piano perché l'anno passato aveva avuto le febbri di malaria e conservava una gran debolezza alle gambe: ogni tanto si fermava volgendosi a guardare il poderetto tutto verde fra le due muraglie di fichi d'India; e la capanna lassù nera fra il glauco delle canne e il bianco della roccia gli pareva un nido, un vero nido. Ogni volta che se ne allontanava lo guardava così, tenero e melanconico, appunto come un uccello che emigra: sentiva di lasciar lassù la parte migliore di se stesso, la forza che dà la solitudine, il distacco dal mondo; e andando su per lo stradone attraverso la brughiera, i giuncheti, i bassi ontani lungo il fiume, gli sembrava di essere un pellegrino, con la piccola bisaccia di lana sulle spalle e un bastone di sambuco in mano, diretto verso un luogo di penitenza: il mondo.
Ma sia fatta la volontà di Dio e andiamo avanti. Ecco a un tratto la valle aprirsi e sulla cima a picco d'una collina simile a un enorme cumulo di ruderi, apparire le rovine del Castello: da una muraglia nera una finestra azzurra vuota come l'occhio stesso del passato guarda il panorama melanconico roseo di sole nascente, la pianura ondulata con le macchie grigie delle sabbie e le macchie giallognole dei giuncheti, la vena verdastra del fiume, i paesetti bianchi col campanile in mezzo come il pistillo nel fiore, i monticoli sopra i paesetti e in fondo la nuvola color malva e oro delle montagne Nuoresi.
Efix cammina, piccolo e nero fra tanta grandiosità luminosa. Il sole obliquo fa scintillare tutta la pianura; ogni giunco ha un filo d'argento, da ogni cespuglio di euforbia sale un grido d'uccello; ed ecco il cono verde e bianco del monte di Galte solcato da ombre e da strisce di sole, e ai suoi piedi il paese che pare composto dei soli ruderi dell'antica città romana.
Lunghe muriccie in rovina, casupole senza tetto, muri sgretolati, avanzi di cortili e di recinti, catapecchie intatte più melanconiche degli stessi ruderi fiancheggiano le strade in pendìo selciate al centro di grossi macigni; pietre vulcaniche sparse qua e là dappertutto danno l'idea che un cataclisma abbia distrutto l'antica città e disperso gli abitanti; qualche casa nuova sorge timida fra tanta desolazione, e piante di melograni e di carrubi, gruppi di fichi d'India e palmizi danno una nota di poesia alla tristezza del luogo.
Ma a misura che Efix saliva questa tristezza aumentava, e a incoronarla si stendevano sul ciglione, all'ombra del Monte, fra siepi di rovi e di euforbie, gli avanzi di un antico cimitero e la Basilica pisana in rovina. Le strade erano deserte e le rocce a picco del Monte apparivano adesso come torri di marmo."

Ovviamente vale la pena di leggere tutto il romanzo, che si può scaricare gratuitamente da liberliber.it

segue
cattleja
00lunedì 17 dicembre 2007 10:27
Grazie Nuttina, mi hai ricordato un'autrice che ho sempre sorseggiato qua e là ma che ogni volta che la leggo mi si apre un paesaggio luminoso dentro...penso che scaricherò Canne al vento. Ciao. Grazie
veronica.79
00sabato 16 febbraio 2008 14:57
Ho letto molto della Deledda e mi sono innamorata di quelle atmosfere e di quei paesaggi che davvero fanno da specchio ai sentimenti dei personaggi. Leggendola mi immedesimavo a tal punto da perdere il senso del tempo. Per me è stata fondamentale.
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