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ITALIANI: LAUREATI E ANALFABETI

Ultimo Aggiornamento: 14/11/2010 03:57
06/02/2008 12:09
Post: 4.971
Registrato il: 21/11/2005
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Articolo di Repubblica del 06/02/2008
Nell'Italia dei laureati
che non sanno scrivere
di MICHELE SMARGIASSI

Dirimere un'ambiguità lessicale è un problema per un laureato su cinque. A dir la verità, anche solo comprendere la frase che avete appena letto è un problema per un laureato su cinque. "Termini come dirimere, duttile, faceto, proroga si trovano comunemente sui giornali, ma per molti italiani con pergamena appesa al muro sono parole opache". Luca Serianni, linguista all'università di Roma 3, ne fece esperienza diretta un giorno nell'ambulatorio di un dentista cui s'era rivolto per un'urgenza. "Con le mie lastrine in mano chiamò al telefono un collega per avere un parere: "Senti caro, aiutami a diramare un dubbio..."". E il professore sudò freddo: "Un medico che non sa maneggiare le parole è un medico che non legge, quindi non si aggiorna, quindi forse non sa maneggiare neanche un trapano".

Analfabeti con la laurea. Non è un paradosso. E nessuno s'offenda: ci sono riscontri scientifici. Il report 2006 del ramo italiano dell'indagine internazionale All-Ocse (Adult Literacy and Life Skill), coordinato dalla pedagogista Vittoria Gallina, non lascia spazio a dubbi: 21 laureati su cento non riescono ad andare oltre il livello elementare di decifrazione di una pagina scritta (il bugiardino di un medicinale, le istruzioni di un elettrodomestico).

E non sanno produrre un testo minimamente complesso
(una relazione, un referto medico, ma anche una banale lettera al capo condominio) che sia comprensibile e corretto. Una minoranza? Sì: un laureato italiano su due, per fortuna, raggiunge il quinto e massimo livello. Ma è una minoranza
terribilmente cospicua, anche se si maschera bene. Negli Usa tre anni fa fu uno shock scoprire che i graduate fermi al livello base sono il 14%. Da noi il buco nero si manifesta a tratti, in modo clamoroso, come un mese fa, a Roma, al termine dell'ultimo dei concorsi per l'accesso alla magistratura. Preso d'assalto da 4000 candidati, in gara per 380 posti. Nonostante
questo, 58 posti sono rimasti scoperti: 3700 candidati, tutti ovviamente laureati (magari anche più) hanno presentato prove irricevibili sul piano puramente linguistico. "Per pudore vi risparmio le indicibili citazioni", commentò uno dei commissari d'esame, il giudice di corte d'appello Matteo Frasca.

Il campanello d'allarme dovrebbe suonare forte. Non si tratta più di scandalizzarsi (e divertirsi) per gli strafalcioni nozionistici degli studenti. No, episodi come il concorso di Roma mettono a nudo il grado zero del problema. Stiamo parlando di chi è senza parole. Di chi dopo cinque (sei, sette...) anni di studio universitario non è riuscito a mettere nella cassetta degli attrezzi le chiavi inglesi del sapere: grammatica, ortografia, vocabolario.

Analfabetismo: anche questa parola sembrava scomparsa dal lessico, ma per esaurimento di funzione. Consegnata ai ricordi in bianco e nero del maestro Manzi. Falsa impressione, perché di italiani che non sanno leggere né scrivere se ne contavano ancora, al censimento 2001, quasi ottocentomila. Se aggiungiamo gli italiani senza neanche un pezzo di carta, neppure la licenza elementare, arriviamo a sei milioni, con allarmanti quote di uno su dieci nelle regioni meridionali. Ma almeno sono numeri che scendono. Aggrediti dal lavoro di meritorie istituzioni come l'Unla, capillarmente contrastati dai corsi ministeriali di alfabetizzazione funzionale per adulti dell'Indire (frequentati l'ultimo anno scolastico da 425 mila persone, tra cui, guarda un po', 30.407 laureati, in gran parte, però, stranieri). Nobilmente contrastato ai livelli più bassi della scala del sapere, però, ecco che l'analfabetismo riappare dove meno te l'aspetti: ai vertici. Gli studiosi, è vero, preferiscono chiamarlo illetteratismo: non si tratta infatti dell'incapacità brutale di compitare l'abicì, di decifrare una singola parola; ma della forte difficoltà a comunicare efficacemente e comprensibilmente con gli altri attraverso la scrittura. Ma non è proprio questo l'analfabetismo più minaccioso del terzo millennio? Nadine Gordimer, per il bene della sua Africa, è di questo analfabetismo relativo che ha più paura: "Saper leggere la scritta di un cartellone pubblicitario e le nuvolette dei fumetti, ma non saper comprendere il lessico di un poema, questa non è alfabetizzazione". Siamo sicuri che l'Italia di Dante sia messa meglio del Sudafrica?

Proprio no. Per niente sicuri. Quanti, del nostro già magro 8,8% di laureati (la media dei paesi Ocse è del 15%), leggono ogni giorno qualcosa di più delle réclame e delle didascalie della tivù? Quanti invece sono prigionieri più o meno consapevoli di quella che Italo Calvino chiamò l'antilingua? Non saper scrivere nasconde il non saper leggere. Sette laureati su cento non leggono mai (e sono quelli che hanno il coraggio di dichiararlo all'Istat: mancano quelli che se ne vergognano). Altri sette leggono solo l'indispensabile per il lavoro: e siamo già vicini al fatidico uno su cinque. Ma andiamo avanti: uno su tre possiede meno di cento libri, praticamente solo i suoi vecchi testi scolastici. Uno su cinque non ha in casa un'enciclopedia. Quasi nessuno (73 per cento) va in
biblioteca, e quando ci va, raramente prende libri in prestito. "Manca il tempo", "sono troppo stanco", le scuse più comuni. Ma ci sono anche quelli che non accampano giustificazioni imbarazzate, anzi rivendicano il loro illetteratismo come atteggiamento moderno e aggiornato: "leggere oggi non serve", "è un medium lento", "preferisco altre forme di comunicazione sociale".

"La società sprintata", come la chiama il pedagogista Franco Frabboni, preside di Scienze della formazione a Bologna, uno degli autori della riforma universitaria, è arrivata negli atenei. E gli atenei la assecondano: "La trasmissione del sapere universitario è regredita dalla scrittura all'oralità", spiega. Nelle aule della nostra istruzione superiore, il grado di padronanza della lingua italiana non è mai messo alla prova. Persino l'arte dell'argomentazione orale, ponte fra i due universi semantici, è svanita, racconta Frabboni: "Professori sempre più incerti fanno lezione con diapositive, seguendo una traccia fissa. Ai laureandi si lascia esporre la tesi con presentazioni Powerpoint. I "test oggettivi" d'ingresso sono crocette su questionari". La competenza linguistica non è considerata un pre-requisito indispensabile: "Devi guadagnarti cinque crediti per la lingua straniera, e cinque per l'informatica, ma non c'è alcun obbligo per quanto riguarda la buona pratica dell'italiano". Un tacito accordo fissa tetti massimi di lettura ridicoli per i testi d'esame: "Quando un professore assegna più di 150-180 pagine, davanti al mio ufficio c'è la fila di studenti che protestano".

Protestano, e poi si sfracellano contro il muro dell'esame. Sugli esiti dell'idiosincrasia per la lettura, agenzie private di tutoraggio hanno costruito imperi aziendali, come il Cepu, diecimila studenti l'anno. "Ci chiedono di aiutarli a passare un esame", racconta il responsabile marketing Maurizio Pasquetti, "ma scopriamo quasi sempre che alla radice c'è la difficoltà o la paura di affrontare testi scritti. Escono da scuole superiori abituati a libri di testo ancora simili a quelli delle elementari, con testi spezzettati, già schematizzati, con tante figure e specchietti: di fronte al terribile "libro bianco", fatto solo di pagine di scrittura continua, restano terrorizzati".

"In Francia e Germania gli atenei organizzano gare di ortografia ", sospira il professor Serianni. Da noi è difficile perfino reclutare iscritti per i laboratori di scrittura che alcuni atenei, allarmati, hanno messo a disposizione degli studenti in debito di lingua. Quello di
Modena è affidato al professor Gabriele Pallotti: "Di solito comincio da virgole e apostrofi...". Pallotti nel cassetto tiene una cartellina di orrori: email, biglietti affissi alle bacheche, "esito profiquo", "le chiedo una prologa", "attendo subitanea risposta". Ma correggere le asinate non è ancora abbastanza. "Saper annotare correttamente parole sulla carta non è saper scrivere" spiega. "Parlare e scrivere sono due diversi modi di pensare. Troppi ragazzi escono dall'università sapendo solo trascrivere la propria oralità, ovvero un flusso continuo di idee non ordinato e difficilmente comunicabile. Cioè restano mentalmente analfabeti".

Ma se avessero ragione loro? Perché alla fine si scopre che il laureato analfabeta non fa necessariamente più fatica a trovare lavoro rispetto ai suoi quattro colleghi più letterati. le imprese non sembrano granché interessate a selezionare i propri quadri dirigenti sulla base delle competenze linguistiche di base. E non perché non si accorgano delle deficienze dei loro nuovi assunti. Parlare con Carlo Iannantuono, responsabile delle risorse umane per la filiale italiana della Sandik, una multinazionale del ramo macchine per cantieri, reduce da una lunga selezione di personale laureato, è come farsi raccontare una serata allo Zelig: "Quello che se potrei, quello che s'è laureato per il rotolo della cuffia (e si vede), quello che glielo dico così, an fasàn (e io: e dü pernìs...)...". Gli analfabeti conclamati, calcola, sono solo un 3-4 per cento, ma molti altri non sembrano pienamente padroni delle loro parole. E lei li assume lo stesso? "Dipende", si fa serio, "noi cerchiamo
bravi venditori. Quello che deve discutere con i dirigenti della Snam è meglio sappia i congiuntivi. A quello che deve convincere un capocantiere della Tav forse serve di più un buon paio di stivali di gomma".

"Non c'è alcuna sanzione sociale verso l'analfabetismo con laurea", commenta con sconforto Tullio De Mauro, il padre degli studi linguistici italiani. Forse perché non si riconoscono immediatamente, si mascherano bene da alfabetizzati. "Fino a cinquant'anni fa l'incompetenza linguistica era palese: otto italiani su dieci usavano ancora il dialetto. Oggi il 95 per cento degli italiani parla italiano. Ma che italiano è? Solo in apparenza parliamo tutti la stessa lingua. Quando si prende in mano una penna, però, carta canta, e le stonature si sentono". Non è una questione di stile: l'analfabetismo laureato può fare danni concreti. Il paziente che legge sulla sua prescrizione medica "una pillola per tre giorni", alla fine del terzo giorno avrà preso tre pillole o una sola? "Ci sono guasti immediati come questo. Ci sono guasti a medio e lungo termine, e ben più pericolosi. Chi non legge smette anche di studiare. In Italia solo un venti per cento di quadri segue corsi di aggiornamento: quattro volte meno della media europea. Una classe dirigente male alfabetizzata, quindi non aggiornata, è la rovina di un
paese, molto più di un crollo della Borsa". Chi parla male pensa male e vive male: è ormai un aforisma, quella battuta di Nanni Moretti. Se pensa male anche solo un quinto dell'élite dirigente, per De Mauro è un'emergenza nazionale: "Per il futuro economico del nostro paese migliorare l'italiano degli imprenditori, dei professionisti, dei politici, è perfino più vitale e urgente che migliorare i salari dei dipendenti. E non lo prenda come un paradosso".
(6 febbraio 2008)
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Ginger Rogers eseguiva tutti i passi di Fred Astaire, ma all'indietro e sui tacchi a spillo.
Remember, Ginger Rogers did everything Fred Astaire did, but she did it backwards and on high heels
(Faith Whittlesey)
06/02/2008 12:12
Post: 4.971
Registrato il: 21/11/2005
Utente Master
OFFLINE
Ho finito di leggere l'articolo e sono ancora tutta scossa da brividi. E' talmente vero da sembrare surreale...
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Ginger Rogers eseguiva tutti i passi di Fred Astaire, ma all'indietro e sui tacchi a spillo.
Remember, Ginger Rogers did everything Fred Astaire did, but she did it backwards and on high heels
(Faith Whittlesey)
06/02/2008 12:24
Post: 1.207
Registrato il: 28/09/2006
Utente Veteran
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questo accade perchè molti si laureano non per amore della cultura, giammai! ma per pura sete di successo, potere, pre-potere sugli altri, voglia di emergere. Tutto fuorchè erudirsi, sapere, conoscere per essere informati. Ed ecco i risultati. E poi ci meravigliamo dei medici (troppo coscienziosi?bah!) che, per non rischiare, essendo incapaci di fare una diagnosi, costringono il povero paziente a decine di accertamenti inutili che non fanno altro che intasare le file all'ospedale.
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http://digilander.libero.it/giomi.isabella/
http://blog.libero.it/tanysha/
06/02/2008 16:40
OFFLINE
Università illetterata
Avevo già letto l'articolo. Il fatto è che una laurea poco aggiunge al diploma per quanto riguarda la capacità di scrivere. Io, ad esempio, mi sono laureato in Economia e Commercio e, ovviamente, non ho sostenuto nessun esame di lingua italiana, figuriamoci!
Alcuni professori pretendevano una certa proprietà di linguaggio, ma altri non ci facevano caso: l'esame era solo incentrato sulla materia di cui era oggetto.
In realtà, non toccherebbe all'Università insegnare l'italiano. Si tratta di una conoscenza di base che con le scuole medie dovrebbe essere già ben radicata e che il liceo dovrebbe perzezionare (ma cosa fanno gli istituti tecnici?).
Il problema, quindi, non è nell'Università, ma più a monte, nella scuola dell'obbligo. Cosa che, del resto, era già emersa dal recente studio internazionale inglese che vedeva gli italiani agli ultimi posti nell'OCSE, non solo per la conoscenza della lingua patria ma anche per la matematica, le scienze e quasi ogni altra materia.

Come dire che la scuola italiana è ormai allo sbando.
E ce ne stupiamo, quando il lavoro dell'insegnante, così importante, è considerato un lavoro di ripiego o di serie B per mezze casalinghe ed è decisamente sotto-pagato?

E il problema non finisce lì. Quello della scuola è un mondo che si collega a quello della scienza e della ricerca... e l'Italia investe sempre meno in ricerca. Il risultato è che siamo dovuti uscire dall'alta tecnologia e dalla produzione di qualità, concentrandoci su un'economia da PMI, concentrata su prodotti di media e bassa qualità, per i quali dobbiamo ora subire la concorrenza dei paesi emergenti.

Mi sono allontanato troppo dall'argomento centrale? Non credo. E' tutto legato. Se si trascura la cultura, tutto crolla.
[SM=g20542] [SM=g20542] [SM=g20542] [SM=g20542]
06/02/2008 17:31
Post: 181
Registrato il: 20/02/2007
Utente Junior
OFFLINE
Vorrei sottolineare, per equità, che a mio parere la responsabilità è anche dei singoli individui e non solo delle istituzioni: la cultura, soprattutto quella del leggere e dello scrivere, deve essere coltivata. Ma, ahimé, spesso l'uomo moderno ha altre priorità.
23/02/2008 19:34
Andrea Mangoni
[Non Registrato]
Sì, l'articolo è allucinante... ma se qualcuno si è mai trovato nella situazione di dover leggere una dozzina di tesi di laurea di una qualunque facoltà, avrà scoperto con orror l'incapacità di scrivere in un italiano corretto e fluente (o, almeno, corretto e basta) di tanti laureati.
Ricordo con sgomento i racconti di un amico, professore di musicologia alla facoltà di LETTERE: stando a quanto mi raccontava, uno studente su tre aveva GROSSI problemi a scrivere correttamente. E stiamo parlando della facoltà di LETTERE. Purtroppo stanno venendo sempre più a mancare prove che permettano agli studenti i dimostrare di saper SCRIVERE, oltre che leggere.
02/03/2008 23:02
empty...fabio
[Non Registrato]
O_O
Troppe verità in un singolo scritto.

Io stesso, non una cima in italiano , riuscivo a scrivere abbastanza correttamente però andando all'università il mio italiano è sceso di livello. Mi sono accorto tra x (ics), equazioni, problemi e numeri di aver perso molta "autonomia" con l'italiano. Di rado si presentano relazioni con intere pagine di spiegazioni; solitamente ci "insegnano" ad essere essenziali e diretti. Non è per nulla facile; almeno per me.

Io dalla mia parte mi sono lasciato trascinare da questa corrente: "per essere promossi ad un esame bisogna saper risolvere il problema..."

12/11/2010 16:39
Post: 3
Registrato il: 06/11/2010
Utente Junior
OFFLINE
da (attualmente) studentessa universitaria, confermo tutto: i vostri timori sono fondati, è tutto verissimo. la maggior parte dei miei colleghi non sa mettere insieme una frase, forti del fatto che gli esami sono orali e i pochi scritti sono a crocette o simili. dato che frequento la facoltà di lingue, qui c'è l' "handicap" della composizione in lingua che - guarda caso - è tra gli scritti più temuti, ma qui la difficoltà si può imputare alla conoscenza della lingua straniera. diverso è il caso in cui una di lettere che ha tutti 30&lode mi manda un'email che farebbe impallidire un bambino delle elementari. è successo davvero, una proposizione completa e di senso compiuto non c'era. molti studenti sono spigliati, hanno la cosiddetta parlantina - che io invece non ho - ma al momento di buttare giù una frase... [SM=g20553]
senza contare le carenze per quanto riguarda la cultura generale. tanto per fare un esempio ormai famoso tra i miei colleghi, un giorno c'era una prova in itinere scritta di storia moderna; io, non avendo studiato (onestamente), non sapevo rispondere alla domanda "quali furono le cause della rivolta nei paesi bassi?" quindi cercai il suggerimento da una ragazza vicina:
"scusa, tu la sai quella sull'olanda?"
"ma dov'è??? io ho quella sui paesi bassi!"
................. [SM=g7304]
[Modificato da LVB 12/11/2010 16:41]
12/11/2010 21:42
Post: 2.806
Registrato il: 28/09/2006
Utente Veteran
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Bellissima!
questa è come la barza sulle piramidi, di quel tizio che non sapeva che le elvetiche erano le svizzere e le iberiche le spagnole, al momento di dire cosa pensava delle piramidi se n'esce con "certe fighe!"
i interessante riprendere questo vecchio argomento. Però è strano sai che i giovani siano così impreparati...sulla carta i programmi scolastici sembrano così ricchi e variegati
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http://digilander.libero.it/giomi.isabella/
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14/11/2010 03:57
Post: 8
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Utente Junior
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sulla carta... si. sulla carta. i manauali vanno studiati per forza perché te li chiedono specificamente (anche se c'è chi non li compra nemmeno, ricorrendo agli appunti del collega o ai riassuntini comprati da altri - ebbene si, li vendono). ma i romanzi? per esempio, per dare l'esame di letteratura inglese 3 si doveva fare la lettura obbligatoria di mrs dalloway e del signore delle mosche di golding (erano a scelta, io ho scelto questi 2). beh... non li ho letti neanch'ioXD la buona volontà ce l'ho messa, sono andata pure a prenderli in biblioteca (in realtà dovevamo leggerli in lingua, ma vabbè)... ma ho fatto una tale corsa kamikaze per arrivare a laurearmi in estate che alla fine, per poter dare la materia in tempo, ho cercato qualche analisi in rete e ho studiato da là. del resto, c'è di tutto e gratisXD
non voglio incitare questo comportamento, ma era per spiegare che spesso la fretta e la comodità sono le cause della mancata pratica di lettura da parte dei giovani... anche se non è del tutto vero. non è che i giovani non leggono: leggono le cose sbagliate [SM=g7301] blog, facebook, ecc... la robetta leggera, insomma. per non applicarsi - e in tutta onestà, vedendo certi manualoni universitari scritti in aramaico, mi verrebbe di appoggiarli! anche se non sono questi i motivi per cui io leggo poco :P
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