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Autore

"Una stanza vuota" di Francesca Montomoli.

Ultimo Aggiornamento: 31/05/2012 13:06
31/05/2012 12:46
giupipino
[Non Registrato]
Esordiante vuol dire principiante?
Volevo sfatare un pregiudizio che molti di noi hanno e che ci porta a non acquistare libri di esordienti, ritenendo, erroneamente, che tale termine significhi 'principiante'.
Occorre ammettere che, in effetti, comprando SOLO esordienti si rischia di disaffezionarci alla lettura, perchè nel caso in cui si acquisti un nuovo libro di un autore noto (e amato), mettiamo un De Luca o un De Carlo, o un Baricco oppure un Maurensig, i rischi di trovare un'opera che sia una vera schifezza sono ridotti, perchè difficilmente un autore scriverà una nuova opera che sia molto aldisotto del suo standard (anche se ho notato che, in genere le opere migliori sono proprio le prime, valga per esempio il meraviglioso Non ora, non qui, di De Luca) mentre questa 'probanza' non ci è data, evidentemente, nel caso degli esordienti.
Per cui occorre fidarsi delle recensioni che ci vengono offerte, e, soprattutto, di chi ce le offre.
Provo allora ad offrirvi una mia recensione di un libro che a me è piaciuto molto, soprattutto nello stile, che ritengo davvero magistrale.
Si tratta di "Una stanza vuota" di Francesca Montomoli, un'autrice esordiente di cui sentiremo molto parlare.

Recensione di «Una stanza vuota » di Francesca Montomoli.


Se questo libro fosse un frutto sarebbe una melagrana: straordinario, affascinante e misterioso. Un frutto che suggerisce, più che dire.
Basta assaporarne pochi chicchi per capire come la scrittura sappia essere sorprendente fin dall'inizio.
«Se sai ascoltare, qui puoi sentire il volo dell'aquila. Alzando gli occhi la troverai là dove il tuo cuore l'aveva intuita prima che alle orecchie giungesse il suo secco, antico richiamo. /../ Mi è tornato in mente il significato del secondo nastro del calumet del vecchio indiano, quello rosso del Nord da dove arriva il vento e solo allora ho compreso la medicina dell'aquila, che ti porta in volo attraverso l'ombra della realtà passata e al di sopra della vita terrena.»
La medicina dell'aquila è l'unica che possa salvare Alice, che «si sentiva chiusa in un barattolo. Senza aria, senza luce. /../ una nullità, un'inutile superflua presenza cui si concede la sopportazione come un favore»
Il barattolo, o forse il pozzo, è un matrimonio – un amore - fallito.
Quando era accaduto d'avvertirne la fine?
Quando era scattata la consapevolezza d'avere smarrito il sentimento di magia, la meraviglia, il senso vitale di libertà ed entusiasmo: «L'albero era lì, lo stesso di sempre, ma senza più alcuna magia. E i regali, sotto i grandi rami di tristissima ecologica plastica, erano solo pacchetti senza incanto corredati da sterili bigliettini»
Perché finisce un miracolo come l'amore?
I motivi del suo appassire sono forse altrettanto misteriosi di quelli del suo nascere.
«In qualche polveroso anfratto della memoria conservo un appannato ricordo /::/ patetico e triste, perché quando accade si compie in silenzio. Un silenzio vischioso e spesso che cresce e si incancrenisce in modo così subdolo da non rendersi evidente fino al giorno in cui un temporale spegne luce e televisione e ci si ritrova al lume di candela, a fissarsi, terrorizzati dall'evidenza di una assoluta mancanza di argomenti»
Da un rapporto divenuto una gabbia, Alice ha il coraggio di fuggire, senza prendere nulla con sé che possa farle ricordare il passato. E fugge in un luogo che sia quanto di più remoto si possa immaginare dalla sua Firenze: Cheyenne, la piccola capitale dello Stato dello Wyoming, dove vive da sola e dove si guadagna da vivere facendo la bibliotecaria all'università.
«Lei poteva passeggiare ogni giorno a Boboli e sul Ponte Vecchio ed è venuta qui, in questo posto di vacche e mandriani?» La risposta di Alice al Rettore che le ha fatto la domanda chiarisce molto: «Avevo bisogno di aria».
Viene a trovarla ogni tanto un suo collega, Jason, assieme alla moglie Beth.
Fra Jason e Alice nasce una amicizia speciale, perché Jason ha con la moglie gli stessi problemi che Alice aveva avuto col marito.
S'accorgerà di provare per lui un sentimento strano, che non riuscirà a confessare neanche a se stessa: «Jason è qualcosa di speciale /../ ho l'impressione di averlo frenato con le mie confidenze, anziché incoraggiarlo.»
Ad Alice il coraggio non era mai mancato: a diciassette anni era rimasta sola per la prima volta. Il giovane padre del bambino che portava in grembo era scomparso, schiacciato dalle responsabilità. Lei invece aveva deciso di farlo nascere. Lo aveva allattato e cresciuto. Mentre la madre aveva superato il trauma, il padre non le aveva più rivolto la parola. La madre non aveva pensato a punirla, tanto «lo avrebbe fatto la vita» ma aveva fatto notare ad Alice che il figlio aveva bisogno di una figura paterna.
Anche nella storia di Jason e Beth era entrata in gioco la mano pesante di un destino stranamente simile, come in un gioco di specchi: Jason era stato campione di nuoto al campus universitario. Era stato l'idolo delle ragazze, fino a quando un pauroso incidente gli provocherà una lunga cicatrice e gli stroncherà la carriera. Nei lunghi mesi di riabilitazione gli starà a fianco solo Beth, e lui non potrà non sposarla quando lei s'accorgerà d'essere incinta. Non può voltare le spalle all'unica persona che non le aveva voltate a lui, ma nello stesso tempo non può evitare a se stesso «la sensazione di essere in trappola»
I personaggi finiscono così col divenire una unica immagine che rimbalza ripetutamente fra molti specchi contrapposti.
Anche Molly, apparentemente distante, almeno per età, dai giovani colleghi, porta dentro sé la volontà di rivincita su una vita che percepisce improvvisamente troppo angusta: «Spalancò tutte le finestre, una dopo l'altra, prima al piano superiore e poi di sotto, affinché il vento potesse entrare e spazzare via i resti di una disfatta»
Ma qual è la stanza vuota di Alice?
É quella del suo appartamentino dove vive da sola - in compagnia di un gattino che le somiglia – o è piuttosto quella del suo cuore?
«Non voglio più innamorarmi» - confesserà alla sua amica Molly.
Per quanto possa conoscere se stessa, Alice è convinta di voler essere per Jason solo «l'amica che voglio essere».
Sarà così?
Meravigliose le pagine in cui Alice telefona a Beth che aveva lasciato il marito. Le sue parole saranno: «Se lasci che se ne vada non tornerà più /../ Si accorgerebbe di aver lasciato dietro di sé un orto ricco di frutti per una spiaggia. Bella, affascinante sotto il sole, ma solo sabbia gelida fra le dita a ogni tramonto»
Sta parlando a Beth, o a se stessa?



Giuseppe Pipino












31/05/2012 12:58
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GIUSEPPE,
sei stato accettato.
passa in area benvenuto per i convenevoli di rito!
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(Faith Whittlesey)
31/05/2012 13:06
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Re: Esordiante vuol dire principiante?
giupipino, 31/05/2012 12.46:

Volevo sfatare un pregiudizio che molti di noi hanno e che ci porta a non acquistare libri di esordienti, ritenendo, erroneamente, che tale termine significhi 'principiante'.
Occorre ammettere che, in effetti, comprando SOLO esordienti si rischia di disaffezionarci alla lettura, perchè nel caso in cui si acquisti un nuovo libro di un autore noto (e amato), mettiamo un De Luca o un De Carlo, o un Baricco oppure un Maurensig, i rischi di trovare un'opera che sia una vera schifezza sono ridotti, perchè difficilmente un autore scriverà una nuova opera che sia molto aldisotto del suo standard (anche se ho notato che, in genere le opere migliori sono proprio le prime, valga per esempio il meraviglioso Non ora, non qui, di De Luca) mentre questa 'probanza' non ci è data, evidentemente, nel caso degli esordienti.
Per cui occorre fidarsi delle recensioni che ci vengono offerte, e, soprattutto, di chi ce le offre.
Provo allora ad offrirvi una mia recensione di un libro che a me è piaciuto molto, soprattutto nello stile, che ritengo davvero magistrale.
Si tratta di "Una stanza vuota" di Francesca Montomoli, un'autrice esordiente di cui sentiremo molto parlare.

Recensione di «Una stanza vuota » di Francesca Montomoli.


Se questo libro fosse un frutto sarebbe una melagrana: straordinario, affascinante e misterioso. Un frutto che suggerisce, più che dire.
Basta assaporarne pochi chicchi per capire come la scrittura sappia essere sorprendente fin dall'inizio.
«Se sai ascoltare, qui puoi sentire il volo dell'aquila. Alzando gli occhi la troverai là dove il tuo cuore l'aveva intuita prima che alle orecchie giungesse il suo secco, antico richiamo. /../ Mi è tornato in mente il significato del secondo nastro del calumet del vecchio indiano, quello rosso del Nord da dove arriva il vento e solo allora ho compreso la medicina dell'aquila, che ti porta in volo attraverso l'ombra della realtà passata e al di sopra della vita terrena.»
La medicina dell'aquila è l'unica che possa salvare Alice, che «si sentiva chiusa in un barattolo. Senza aria, senza luce. /../ una nullità, un'inutile superflua presenza cui si concede la sopportazione come un favore»
Il barattolo, o forse il pozzo, è un matrimonio – un amore - fallito.
Quando era accaduto d'avvertirne la fine?
Quando era scattata la consapevolezza d'avere smarrito il sentimento di magia, la meraviglia, il senso vitale di libertà ed entusiasmo: «L'albero era lì, lo stesso di sempre, ma senza più alcuna magia. E i regali, sotto i grandi rami di tristissima ecologica plastica, erano solo pacchetti senza incanto corredati da sterili bigliettini»
Perché finisce un miracolo come l'amore?
I motivi del suo appassire sono forse altrettanto misteriosi di quelli del suo nascere.
«In qualche polveroso anfratto della memoria conservo un appannato ricordo /::/ patetico e triste, perché quando accade si compie in silenzio. Un silenzio vischioso e spesso che cresce e si incancrenisce in modo così subdolo da non rendersi evidente fino al giorno in cui un temporale spegne luce e televisione e ci si ritrova al lume di candela, a fissarsi, terrorizzati dall'evidenza di una assoluta mancanza di argomenti»
Da un rapporto divenuto una gabbia, Alice ha il coraggio di fuggire, senza prendere nulla con sé che possa farle ricordare il passato. E fugge in un luogo che sia quanto di più remoto si possa immaginare dalla sua Firenze: Cheyenne, la piccola capitale dello Stato dello Wyoming, dove vive da sola e dove si guadagna da vivere facendo la bibliotecaria all'università.
«Lei poteva passeggiare ogni giorno a Boboli e sul Ponte Vecchio ed è venuta qui, in questo posto di vacche e mandriani?» La risposta di Alice al Rettore che le ha fatto la domanda chiarisce molto: «Avevo bisogno di aria».
Viene a trovarla ogni tanto un suo collega, Jason, assieme alla moglie Beth.
Fra Jason e Alice nasce una amicizia speciale, perché Jason ha con la moglie gli stessi problemi che Alice aveva avuto col marito.
S'accorgerà di provare per lui un sentimento strano, che non riuscirà a confessare neanche a se stessa: «Jason è qualcosa di speciale /../ ho l'impressione di averlo frenato con le mie confidenze, anziché incoraggiarlo.»
Ad Alice il coraggio non era mai mancato: a diciassette anni era rimasta sola per la prima volta. Il giovane padre del bambino che portava in grembo era scomparso, schiacciato dalle responsabilità. Lei invece aveva deciso di farlo nascere. Lo aveva allattato e cresciuto. Mentre la madre aveva superato il trauma, il padre non le aveva più rivolto la parola. La madre non aveva pensato a punirla, tanto «lo avrebbe fatto la vita» ma aveva fatto notare ad Alice che il figlio aveva bisogno di una figura paterna.
Anche nella storia di Jason e Beth era entrata in gioco la mano pesante di un destino stranamente simile, come in un gioco di specchi: Jason era stato campione di nuoto al campus universitario. Era stato l'idolo delle ragazze, fino a quando un pauroso incidente gli provocherà una lunga cicatrice e gli stroncherà la carriera. Nei lunghi mesi di riabilitazione gli starà a fianco solo Beth, e lui non potrà non sposarla quando lei s'accorgerà d'essere incinta. Non può voltare le spalle all'unica persona che non le aveva voltate a lui, ma nello stesso tempo non può evitare a se stesso «la sensazione di essere in trappola»
I personaggi finiscono così col divenire una unica immagine che rimbalza ripetutamente fra molti specchi contrapposti.
Anche Molly, apparentemente distante, almeno per età, dai giovani colleghi, porta dentro sé la volontà di rivincita su una vita che percepisce improvvisamente troppo angusta: «Spalancò tutte le finestre, una dopo l'altra, prima al piano superiore e poi di sotto, affinché il vento potesse entrare e spazzare via i resti di una disfatta»
Ma qual è la stanza vuota di Alice?
É quella del suo appartamentino dove vive da sola - in compagnia di un gattino che le somiglia – o è piuttosto quella del suo cuore?
«Non voglio più innamorarmi» - confesserà alla sua amica Molly.
Per quanto possa conoscere se stessa, Alice è convinta di voler essere per Jason solo «l'amica che voglio essere».
Sarà così?
Meravigliose le pagine in cui Alice telefona a Beth che aveva lasciato il marito. Le sue parole saranno: «Se lasci che se ne vada non tornerà più /../ Si accorgerebbe di aver lasciato dietro di sé un orto ricco di frutti per una spiaggia. Bella, affascinante sotto il sole, ma solo sabbia gelida fra le dita a ogni tramonto»
Sta parlando a Beth, o a se stessa?



Giuseppe Pipino
















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